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«Pizzo», condanna a otto anni

Carabinieri, arrestato Carmelo La Spina. A Cerreto si spacciava per appartenente al clan Santapaola. mostrando i muscoli a tre imprenditori

MISTERBIANCO. Pretendeva sino a un milione di lire al mese per non intralciare l’attività imprenditoriale di tre imprese che operavano nel settore edile. Chi tentava di sottrarsi alla mannaia del racket rischiava guai grossi, come l’incendio di macchinari e la stessa incolumità. Il «pizzo» in puro stile mafioso nell’entroterra Anconetano, a Cerreto, allestito nelle Marche dagli uomini del clan Santapaola.
È questo il risultato delle indagini relative all’inchiesta condotta dalla Procura del capoluogo marchigiano fra il 1999 e il 2000, in seguito alla denuncia presentata da un imprenditore edile, il quale ha detto no alle pressanti richieste di denaro, che aveva ricevuto. Altri due imprenditori, che erano finiti nella stessa morsa, avevano deciso di accettare «la regola». Nelle scorse settimane il processo è stato definito con una condanna. Così, Carmelo La Spina, quarantanove anni, si è visto notificare dai carabinieri del Nucleo operativo della Tenenza di Misterbianco la relativa ordinanza emessa nei suoi confronti dall’Ufficio esecuzione della Corte d’appello di Ancora. Carmelo La Spina si trova adesso rinchiuso in una cella del carcere di «Bicocca». Per questa vicenda deve scontare otto anni e sei mesi di reclusione. Era stato rinviato a giudizio con l’accusa di estorsione con l’aggravante del metodo mafioso e di rapina dal gup Francesca Zagoreo.
Sostenendo di fare parte del clan Santapaola, Carmelo La Spina e un complice, che è stato identificato, si era presentato nei cantieri di tre imprenditori edili del Fabrianese, che operano tra il capoluogo e Cerreto, chiedendo il «pizzo», ottenendo circa 12 milioni di vecchie lire da due di queste. La terza impresa di costruzioni, invece, gliele aveva negate facendo scattare le indagini.
I fatti risalgono al periodo compreso tra il 1999 e il 2000. Carmelo La Spina e il suo complice, che hanno sempre negato ogni addebito in virtù del quale la difesa aveva chiesto il loro proscioglimento, sono stati rinviati a giudizio in quanto contro di loro pendevano circostanziate denunce. Infatti nel memento in cui è stato scoperchiato il vaso, anche chi ha pagato ha deciso di collaborare e tali accuse sono state ribadite si nell’aula del Tribunale che quella della Corte d’Appello dove i due processi si sono celebrati. Gli imprenditori finiti nel mirino, però, hanno deciso di non costituirsi parte civile.

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