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Catania, Fai: stagione agricola bruciata dalla cenere dell’Etna

Il settore interessa 45 mila lavoratori con 50 mila aziende, dove i censiti sono 15 mila

CATANIA. La cenere dell’Etna ha compromesso buona parte della produzione agricola del 2013. Ma a fare le spese dei danni sono tanto i produttori quanto i lavoratori. «Per questo motivo occorre modificare le norme di accesso alle procedure di calamità e tutelare un comparto che rappresenta il 35% dell’economia del territorio e possiede ancora enormi potenzialità di produrre sviluppo». Lo sostiene l’esecutivo provinciale della Fai Cisl catanese, che a Maletto ha tenuto i lavori di categoria incentrati su come investire in agricoltura.
«Il settore agricolo – dice Pietro Di Paola, segretario della Fai etnea – offre grandi opportunità di sviluppo del territorio. Ma occorre creare una filiera, cioè riuscire a fare sistema per garantire investimenti, esportare i nostri prodotti apprezzati in tutto il mondo e tutelare i lavoratori impegnati. Serve cioè una cabina di regia che metta insieme tutti gli attori del settore per creare proposte vere e progetti concreti di sviluppo».
Il settore agroalimentare catanese interessa complessivamente circa 45 mila lavoratori; 4.200 sono i forestali; 10 mila nel settore alimentare; 500 nei due consorzi di bonifica; 30 mila i braccianti iscritti negli elenchi. Ci sono poi 50 mila aziende agricole censite ma solo 15 mila i lavoratori che vi sono impegnati. Il volume medio è di 101 giornate lavorative procapite che sviluppano una mole di lavoro pari a 4 milioni 545 mila giornate; con una media di 50 euro a giornata si sviluppano 227 milioni 25 mila euro che rappresenterebbe una vera boccata d’ossigeno per economia etnea.

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