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Confiscati beni per 50 milioni tra Catania e Messina a un imprenditore

Si tratta di beni riconducibili all'imprenditore Giuseppe Scinardo, ritenuto uomo di fiducia del capomafia Sebastiano Rampulla

CATANIA. Vi sono 324 terreni - per una estensione complessiva di circa 700 ettari - nei comuni di Militello Val di Catania, Mineo e Vizzini, in provincia di Catania, e Capizzi, in provincia di Messina; trentatré fabbricati, tre aziende, tra società e ditte individuali operanti nel settore della coltivazione e dell'allevamento di bovini e ovi-caprini, e sei veicoli tra i beni confiscati dalla Dia di Catania e Messina a Scinardo, ritenuto uomo di fiducia del capomafia Sebastiano Rampulla. Il decreto di confisca è stato eseguito anche nei confronti della moglie Annina Briga e della figlia Carmela, alle quali i beni erano anche intestati. Giuseppe Scinardo è indiziato di appartenere alla cosca mafiosa riconducibile al cosiddetto "Gruppo di Mistretta", che operante nella zona tirrenica-nebroidea della provincia messinese, e successivamente in rapporti con cosa nostra catanese.

L'iter che ha portato alla confisca è durato tre mesi. Le indagini, delegate dalla Procura di Catania alla Dia di Messina, coordinata dal Centro Operativo di Catania, completano gli accertamenti patrimoniali che avevano già permesso di confiscare, in via definitiva, alla famiglia Scinardo beni per complessivi 200 milioni di euro durante le operazioni denominate "Belmontino" e "Malaricotta". Secondo gli investigatori Giuseppe Scinardo, originario di Capizzi (Messina), ma stabilitosi da molti anni con il suo nucleo familiare a Militello Val di Catania, già dai primi anni '90 avrebbe avuto stretti legami con la famiglia Rampulla, di Mistretta, in particolare con i fratelli Sebastiano, deceduto, già rappresentate nel paese della famiglia di cosa nostra, Maria e Pietro. Quest'ultimo è stato condannato all'ergastolo perché ritenuto l'artificiere della strage di Capaci, per aver confezionato sia l'ordigno che esplose nel cunicolo dell'autostrada Palermo - Trapani che il telecomando che venne utilizzato per compiere l'attentato al giudice Falcone, alla alla moglie Francesca Morvillo e ai componenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Gli stretti rapporti tra le due famiglie si sarebbero consolidati quando alla fine degli '90 il cognato di Pietro Rampulla Tommaso Somma, all'epoca latitante, fu 'ospitato' in un fondo rurale di Basilio Scinardo, 86 anni, fratello di Giuseppe, in contrada "Ciulla" di Mineo (Catania). Giuseppe Scinardo nel frattempo si sarebbe avvicinato all'organizzazione di cosa nostra operante nel calatino che faceva capo a Francesco La Rocca ed avrebbe favorito la latitanza dell'allora reggente della famiglia catanese di cosa nostra Umberto Di Fazio, poi divenuto collaboratore di giustizia.

Inoltre, secondo quanto accertato, nelle proprietà di Giuseppe Scinardo sarebbero avvenuti vari summit mafiosi che avrebbero messo in contatto i Rampulla di Mistretta, i rappresentanti della famiglia di Caltagirone e della famiglia di Catania. Le circostanze sono emerse dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia tra cui lo stesso Di Fazio e Giuseppe Mirabile, che hanno anche riferito dell'interesse degli Scinardo per le energie alternative e segnatamente del loro impegno, in accordo con cosa nostra, per lo sviluppo di progetti relativi a parchi fotovoltaici siti nella Piana di Catania. "Lo Stato è presente e continua la lotta alla criminalità organizzata - ha detto il capo della Dia di Catania Renato Panvino - assestando colpi importanti disarticolando la e togliendole le finanze. E' un importante risultato quello che oggi la Dia ha conseguito grazie alla stretta sinergia con la Procura della Repubblica e con il dott. Giovanni Salvi e il Tribunale misure di prevenzione. E' un colpo importante anche per la caratura delle persone".

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