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Naufragio, scafisti restano in carcere: al via incidenti probatori

CATANIA.  Erano almeno quattro i componenti dell'equipaggio del barcone carico di migranti naufragato al largo della Libia: il 'comandantè tunisino, il suo 'assistente siriano, che sono in stato di arresto, e altri due somali, poi morti annegati, che avevano le chiavi delle porte delle due stive dove erano rinchiuse oltre 700 persone, comprese donne e bambini, morte annegate nel mare Mediterraneo.

È quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip Maria Paola Cosentino nei confronti del tunisino Mohammed Alì Malek e il siriano Bikhit Mahmud. Ad accusarli diversi superstiti del naufragio che il 19 aprile scorso è costato la vita a 750 persone. Un ruolo importante avrebbe avuto il 'comandantè che era «armato di pistola e bastone» e «parlava con l'organizzatore libico del viaggio, di nome Jaafar, che era noto come 'grande direttorè, con un telefono satellitare». Ma anche il siriano: avrebbe «diviso  viveri e acqua a bordo», dove si «poteva muovere liberamente» e avrebbe avuto contatti «parlando in arabo con lo stesso telefono» con l'altro capo dei trafficanti, «che si chiama Has».

Sarebbe stato il 'comandante, emerge dalla ricostruzione agli atti, ad «accelerare quando è arrivato il mercantile per soccorrerci, quasi volesse scappare, provocando tre collisioni e poi il naufragio». Agghiacciante la notazione dell'arrivo sul posto della nave Gregoretti che, appena arrivata sul luogo della tragedia, «comunicava la presenza di circa 100 corpi in mare».

Il bilancio sarà ancora molto più grave. Nel Palazzo di giustizia di Catania sono cominciati i primi incidenti probatori disposti dal gip di Catania, Rosa Alba Recupido, che continueranno anche domani. Sono stati chiesti dalla Procura per sentire, tra i sopravvissuti, i testimoni che accusano i due scafisti, presenti in aula. Il procuratore Giovanni Salvi ha sottolineato che gli incidenti probatori «si sono rivelati ancora più complessi di quanto immaginavamo».

L'inchiesta si occupa anche delle segregazioni e delle torture inflitte ai migranti a terra e in mare. Ricostruisce la morte di più persone uccise a bastonate perchè non hanno obbedito agli ordini a terra, e di un ragazzo colpito perchè si era alzato da un gommone mentre con gli altri, da terra, andava verso il peschereccio e il cui corpo è stato gettato in mare dai trafficanti. Ma c'è stato anche chi è morto di stenti per la
stanchezza, la fame e la sete. I drammatici racconti dei testimoni non sono stati depositati nella richiesta di fermo che è stata convalidata dal Gip.

Il procuratore Salvi ha rivelato di avere «già ricevuto da Malta la documentazione sulle vittime del naufragio per vedere se sarà possibile un riconoscimento grazie ai migranti sopravvissuti. Ma sappiamo che non avremo informazioni utili perchè non vi sono dall'Isola dei cavalieri rapporti con i  sopravvissuti». Salvi ha aggiunto che «la Marina Militare si è detta disponibile ad effettuare una missione ricognitiva per
compiere accertamenti sul relitto. A conclusione - ha chiosato il procuratore di Catania - valuteremo l'opportunità di procedere ad un recupero del relitto».

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