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Alfio Sorbello, mostra ad Acireale

ACIREALE. Nel cuore del barocco acese (Collegio Santonoceto, Corso Umberto I, 186, Acireale, CT) questa mostra personale racconta la nostra epoca senza reticenze, lasciando intravedere la più grande delle speranze, la bellezza. Attraverso l’esposizione di 30 dipinti di medio e grande formato vengono raccontati gli ultimi 5 anni di attività pittorica di Alfio Sorbello (Catania, 1965), attraverso l’esposizione di circa 30 dipinti.

I suoi paesaggi naturali e antropizzati grazie alle “prospettive reali e surreali” raccontano la complessità del reale, sospeso fra difficili armonie e ricorrenti devastazioni. Sorbello, infatti, partendo dall’analisi di ciò che ci circonda cerca di riportare su tela una sintesi tra etica ed estetica, tra passato bucolico e futuro post-industriale. Se in questa evoluzione/involuzione dei nostri paesaggi è molto forte la mano dell’uomo, nei suoi dipinti il ruolo assegnato al genere umano è poco più che marginale, è confinato in una continua replica di sagome indefinite e indefinibili che si tuffano nel vuoto o che camminano senza meta in città grigie e desolate. L’uomo perde la sua individualità per essere massa, parte di un tutto senza spazio e senza tempo dove ciminiere industriali, case e strade hanno preso il posto del paesaggio.

In questi dipinti la natura è un involucro di certezze deluse, una memoria che fa capolino tra il cielo e la terra, ma si intravede la speranza che non tutto è perduto, perché ancora è possibile scegliere una diversa tavolozza dei colori per ciò che è, per ciò che verrà.

“Nelle tele di Alfio Sorbello – ha scritto Lina Franza – prende corpo una pittura fredda, spessa, intensa nel calibrato equilibrio tra astrazione e figurazione; lo spazio dipinto è ampio, per poter accogliere, metabolizzare, dilatare il racconto in uno sfondo quasi metafisico.

L’uomo contemporaneo vive in un ambiente che ha perso ogni carattere unitario: la città è composta da frammenti, dai non-luoghi della città degli affari, dai centri commerciali, dalle periferie indistinte; nuclei amorfi dove l’identità topografica non corrisponde a quella antropologica e viceversa. Tutto questo in una condizione di spaesamento, al centro della quale c’è l’uomo, travolto dalle mille attese che la società moderna gli propone… Una condizione disperante che sembrerebbe senza via d’uscita se non ci fosse l’arte. Sorbello interviene con la sua carica vitale di positività connessa al senso stesso del “fare arte” oggi. Egli coglie gli aspetti, gli effetti della città sull’individuo e li rende significanti nel quadro con la febbrile lucidità di chi ha imparato a citare se stesso. Il quadro, così rappresentando anche ciò che c’è fuori di esso, diventa denuncia, sollecitazione. Le sue proposizioni artistiche sono quindi intimamente strutturate in termini di comunicazione e di partecipazione, rivendicando un ruolo sollecitativo, considerando lo spazio sociale come tessuto di comunicazioni, entro e con il quale vuole proporre i segni della sua provocazione”.

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