CATANIA. «La legge non può essere essere dolce con un assassino o presunto assassino, deve prevedere una pena severa». Lo ha ribadito Marisa Grasso, la vedova dell’ispettore Filippo Raciti, in una conferenza stampa al Senato con il segretario del Sap Gianni Tonelli, tornando sulla semilibertà concessa a Daniele Micale, uno dei due ultrà del Catania condannati per la morte del poliziotto il 2 febbraio 2007.
«Ho tanta amarezza dentro - ha detto la donna - Mio marito è morto per quella legge che lui difendeva, per fare il suo dovere e per il senso di giustizia». Ecco perché «quando ho saputo che uno dei due assassini era in semilibertà - ha aggiunto - mi sono chiesta: 'ma allora, le cose non cambiano?'. Queste persone uccidono tranquillamente e non c'è certezza della pena, la legge non deve prevedere sconti nei confronti di chi uccide una persona. E soprattutto non deve prevedere sconti in caso venga ucciso un bambino, una donna o anche un tutore dell’ordine. Perché le leggi devono tutelare chi ci tutela».
«Non è possibile brandire un lavello e colpire un servitore dello Stato e poi vedersi lenita la responsabilità con una preterintenzionalità che porta ad uno sconto di pena grandissimo - ha sottolineato Tonelli - Alla fine l’assassino è fuori e gli è stato anche trovato un lavoro, quasi è diventato un investimento oggi ammazzare un poliziotto».
«Il banco delle regole è saltato - ha concluso - nessuno si sente più obbligato a doverle rispettare. Siamo in un paese di folli in cui non c'è più regola di buon senso per cui se un poliziotto su strada si prende una coltellata - come avvenuto a Milano qualche giorno fa - quello che ha attentato alla sua vita non viene tenuto in carcere per tentato omicidio ma viene scarcerato il giorno seguente perché la coltellata viene considerata aggravante del reato di resistenza a pubblico ufficiale».
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