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Buco milionario nella casa di riposo, i soldi della Regione usati per il premio antimafia

Il momento dell'arresto di Corrado Labisi

I costi dell’organizzazione del premio Livatino, considerato un riconoscimento della lotta contro le mafie, sarebbero stati coperti con fondi erogati dalla Regione Siciliana per l’istituto per curare i malati.

Così Corrado Labisi, il presidente del cda dell'istituto medico psico-pedagogico "Lucia Mangano" di Catania, avrebbe impiegato i fondi tanti e svariati modi. I contorni della vicenda sono emersi nel corso dell'operazione della Dia sul "buco" da 10 milioni di euro nella gestione dell'istituto Mangano. Cinque le persone coinvolte nell'operazione della Dia sul "buco" da 10 milioni di euro nella gestione dell'istituto medico psico-pedagogico Lucia Mangano di Catania.

Le somme erogate dalla regione, invece, dovevano essere usate per assistere i poveri della città e della provincia di Catania, creando centri di mutuo soccorso, elargendo sussidi a favore degli stessi, creando laboratori, offrendo assistenza medica, alleviare lo stato di eventuale disagio in cui gli assistiti potessero trovarsi, per disoccupazione, malattia o altro.

La Procura di Catania ha disposto la misure della custodia in carcere nei confronti di Labisi, 65 anni, a cui sono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata all'appropriazione indebita di somme di denaro.

Ai domiciliari è finita la figlia, Francesca Labisi, la moglie Maria Gallo, i collaboratori Gaetano Consiglio e Giuseppe Cardì, accusati di appropriazione indebita di somme di denaro.

Le indagini hanno fatto luce sui presunti illeciti nella gestione dei fondi erogati dalla Regione Siciliana e da altri enti per le specifiche finalità tese alle cure dei malati ospiti della struttura, per fini diversi, distraendo le somme in cassa, facendo lievitare le cifre riportate sugli estratti conti accesi per la gestione della clinica, tanto da raggiungere un debito pari ad oltre 10 milioni di euro.

Dalla perizia è emerso che soltanto Corrado Labisi ha utilizzato per fini diversi oltre 1,3 milioni di euro, e la coniuge 384.000 euro.

Secondo gli inquirenti sarebbe emerso che Corrado Labisi  da una parte si manifesta paladino della legalità tanto da ricoprire la carica di Presidente dell'associazione denominata Saetta – Livatino, impegnata a sostenere le iniziative antimafia, mentre l'altro aspetto faceva registrare l'atteggiamento illecito di Labisi, il quale senza scrupolo alcuno, avrebbe distratto ingenti somme di denaro per soddisfare esigenze diverse tra le quali il pagamento di fatture emesse dalla Pubblicompass per pubblicizzare gli eventi dal medesimo organizzati, la copertura di spese sostenute dalla moglie e dalle figlie, il pagamento di fatture emesse per cene e soggiorni ad amici vari.

Secondo gli inquirenti Labisi avrebbe distratto somme di denaro per iniziative connesse all’organizzazione, all’Hotel Nettuno, di eventi relativi all’Associazione “Antonietta LabisI”, madre di Corrado impegnata in vita nell’opera di assistenza verso i minori e gli anziani nelle zone di degrado catanesi.

La famiglia Labisi non si sarebbe occupata  veramente dei malati accolti nell’Istituto “Lucia Mangano”. Soltanto grazie all’attività caritatevole del personale i malati venivano curati, e non certamente per la illecita gestione della famiglia Labisi. Infatti, così come testimoniato da qualche dipendente “Se fosse dipeso da loro, si continuerebbe a dare ai pazienti latte allungato con acqua, maglie di lana e scarpe invernali nel periodo estivo.”

In una conversazione captata tra Corrado Labisi ed un suo amico, all’indomani di una perquisizione delegata operata dalla Dia di Catania, presso la struttura sanitaria “Lucia Mangano” e presso lo studio del commercialista di riferimento, che ha portato al sequestro di copiosa documentazione contabile.

Nel corso della citata conversazione, avvenuta con un amico di Labisi già appartenente al Ministero della Difesa, che l’episodio affermava testualmente “dobbiamo capire a 360° se c’è qualcuno che deve pagare perché questa è la schifezza fatta a uno che si batte per la legalità …  vediamo a chi dobbiamo fare saltare la testa”. In questa circostanza appare chiaro il riferimento alla struttura investigativa della Dia, ed ai magistrati inquirenti che svolgono le indagini.

Secondo gli inquirenti Labisi in passato avrebbe mantenuto contatti con il pregiudicato Giorgio Cannizzaro, noto esponente della famiglia mafiosa Santapaola – Ercolano.
Si è delineato secondo la Procura di Catania: “Un vero e proprio quadro associativo, tessuto prevalentemente in ambito familiare, fatto di assunzioni finalizzate all'unico scopo di drenare risorse e di compensi erogati in modo spropositato, tanto da indurre l'istituto in una situazione debitoria pari a 10 milioni di euro. Un'attività molto grave perché a causa delle ripetute appropriazioni indebite per importi elevati, hanno creato i presupposti per la distruzione di un ente benefico, che è stato posizionato nel tempo a livello di un azienda con scopo di lucro e assoggettabile al fallimento, ponendo le basi concrete per privare la società civile di una struttura di assistenza ai bisognosi, soprattutto ai disabili e agli anziani, e con la prospettiva di una perdita di 180 posti di lavoro”.

Per sanare la pesante condizione debitoria Labisi avrebbe proceduto, nel corso del 2017, alla vendita del ramo dell'azienda facente capo alla struttura destinata a Rsa ubicata in locali di proprietà dell'ente nel Comune di Mascalucia. L'operazione, conclusa con la cessione a una associazione calatina, si è concretizzata, nei suoi aspetti operativi, nell'accollo di un'importante quota di debiti erariali e previdenziali. L’operazione, conclusa con la cessione del predetto ramo d’azienda ad una associazione calatina, si è concretizzata, nei suoi aspetti operativi, nell’accollo di un’importante quota di debiti erariali e previdenziali. Gli altri due indagati, i collaboratori Cardì e Consiglio, regolarmente assunti presso l'istituto con mansioni differenti da quelle effettivamente svolte, mettevano consapevolmente a disposizione le loro buste paga, dove venivano inserite voci di costo giustificative delle uscite indebite dell'istituto. Questo  a fronte di benefit e premi di produttività, dai 500 e 1.500 euro.

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