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Ifi, il giudice fallimentare non concede rate

I vertici dell’ente in Tribunale a Roma, il piano di salvataggio adesso dipende solo dal ministero

CATANIA. Almeno per il giudice romano che ha delega sul fallimento dell’Istituto finanziario italiano, nessuna concessione di «comode rate» alla Provincia di Catania per il pagamento del risarcimento-record da 23 milioni all’Ifi. Al Ministero dell’Economia, quindi, l’ultima parola sul piano di salvataggio dell’ente pubblico etneo. La prossima settimana, intanto, l’Aula di Palazzo Minoriti — presieduta da Giovanni Leonardi, ieri in Tribunale a Roma con i vertici burocratici dell’amministrazione — voterà la delibera con la richiesta di diluizione del debito, non solo quello con l’Ifi, in cinque anni.

Nella stanza del giudice Aldo Ruggiero, nella tarda mattinata di ieri, si sono presentati con il presidente Leonardi i dirigenti dell’Avvocatura, della Ragioneria e della Segreteria generale. Erano stati proprio loro che, utilizzando tra i primi in Italia una nuova norma varata dal governo Monti, avevano chiuso nei mesi scorsi le porte della Tesoreria provinciale al curatore del «crack Ifi» e impedito l’incasso coatto dei 23 milioni. Al magistrato capitolino in particolare il capo dell’Avvocatura, Francesco Mineo, ha ricordato le ragioni dell’opposizione dell’ente locale alla procedura di immediato recupero di un credito che è legato a una controversia giudiziaria vecchia di decenni, nata da una truffa commessa negli anni Ottanta da due dipendenti infedeli della Provincia.

Dall’autorizzazione a «spalmare» in cinque anni il pagamento di circa 28 milioni di euro — quello Ifi e altri — dipende adesso la stessa sopravvivenza, o quasi, dell’ente. Come hanno ricordato il presidente Leonardi e gli altri in rappresentanza del commissario straordinario Antonella Liotta, si rischia adesso lo sforamento del patto di stabilità e, quindi, la paralisi amministrativa. La violazione del «patto», infatti, imporrebbe il blocco della spesa corrente e delle stabilizzazioni di precari, oltre al taglio delle indennità «politiche». Il commissario Liotta, invece, ha già annunciato a poche ore dal suo insediamento la rinuncia volontaria al 30 per cento dei suoi emolumenti. GE.M.

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