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Catania chiude bottega, persi in un anno mille negozi

La Confesercenti ha presentato il report 2012: dati allarmanti

CATANIA. Chiuso per sempre. La crisi economica vista dai piccoli negozi o dai medi e grandi esercizi commerciali è un susseguirsi di sconfitte silenziose che feriscono e debilitano i tessuti urbani italiani. Da sud a nord.
E Catania non è da meno. È uno stillicidio di attività chiuse che frenano l’economia cittadina e generano disoccupazione e povertà: Confesercenti ha stilato un rapporto drammatico per il 2012: con oltre mille e 200 aziende chiuse.
«Dinnanzi alla inarrestabile desertificazione dei centri storici e commerciali delle nostre città abbiamo il dovere morale di intervenire e di farlo nel piu’ breve tempo possibile». Alla luce del drammatico report pubblicato da Confesercenti nazionale sul numero di esercizi commerciali chiusi nel primo bimestre del 2013, sul crollo delle nuove aperture e degli affitti, il direttore della sezione provinciale di Catania, Salvo Politino, lancia un grido di allarme: «Catania gode di un tristissimo primato, è la terza città d’Italia per numero di botteghe non affittate, il 27 per cento, con una perdita economica che va dai 20 ai 40 mila euro al mese. Il dato peggiore degli ultimi 20 anni».
Solo nel settore del commercio nel 2012 sono nate a Catania mille e 73 imprese e ne sono cessate 2.330, con un saldo negativo di mille e 257. Nel 2011 ne erano nate 1371 e morte 1851, con un saldo di 480 imprese. Il dato negativo si è quasi triplicato in un anno.
Quali sono le cause di un simile massacro? Le tasse e la stretta creditizia che gravano sulle imprese e a questo si aggiungono i costi crescenti degli affitti e di acquisto di immobili: così i titolari si trovano in difficoltà con i fornitori e quindi la crisi incide su tutta la filiera.
«Insieme alla crisi economica, sono diversi i fattori all’origine delle tante saracinesche abbassate — spiega il direttore provinciale di Confesercenti Politino — in assoluto la mancanza di una politica a supporto delle piccole e medie imprese, l’eccessiva pressione fiscale, il costo del lavoro e i canoni di locazione diventati proibitivi, la mancata pubblicazione delle graduatorie per i centri commerciali naturali e l’impatto negativo dei centri commerciali che hanno svuotato il centro storico. Come se non bastasse le politiche di liberalizzazione degli orari non hanno in alcun modo aiutato i negozi a sopravvivere alla crisi. Il “sempre aperto” non è servito ad aumentare i consumi e l’occupazione, ma ha solo agevolato la grande distribuzione, mettendo sempre piu’ in difficoltà i piccoli esercenti».
A tal proposito Confesercenti Catania ripropone l’urgenza di aderire alla campagna nazionale Libera la Domenica, in collaborazione con la Cei. Si tratta di una raccolta firme per inviare in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare che abroghi l’articolo del cosiddetto «Decreto Salva Italia» che ha liberalizzato il regime degli orari degli esercizi commerciali nel Paese.
«Non vogliamo demonizzare le aperture festive —conclude il direttore della sezione provinciale etnea Salvo Politino — ma riconsegnare alle Regioni la potestà di disciplinare i calendari di apertura in base alle esigenze territoriali».  
 

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