CATANIA. Venti anni di reclusione per lo storico boss Giuseppe Garozzo, 64 anni, noto come "Pippu u maritatu" (Pippo lo sposato, ndr), e condanne comprese tra otto anni e 16 anni ad altri 18 presunti appartenenti al clan dei Cursoti. Sono le richieste formulate a conclusione della requisitoria del processo contro la cosca che si celebra col rito abbreviato davanti al Gup di Catania, Laura Benanti. Altri indagati sono stati rinviati a giudizio e saranno processati col rito ordinario. L'accusa è rappresentata in aula dal procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita, applicato a Catania per seguire l'inchiesta da lui avviata, e dal sostituto della Dda etnea Assunta Musella. Il procedimento è lo sviluppo giudiziario dell'operazione della squadra mobile della Questura di Catania eseguita l'8 maggio dello scorso anno. Agli imputati sono contestati, a vario titolo, i reati di associazione mafiosa, rapine e detenzione di armi da guerra. Secondo l'accusa, il boss Garozzo, scarcerato alla fine del 2010 dopo quasi 18 anni trascorsi in carcere, stava tentando di riorganizzare la cosca dei Cursoti che era stata decimata durante il periodo della sua detenzione. Il "ritorno" in campo del vecchio capomafia non sarebbe stato "gradito" da esponenti di clan rivali che nel giugno del 2011 hanno tentato di ucciderlo, ferendo lui e un'altra persona, in un agguato a Misterbianco. E lui si sarebbe organizzato per reagire. Garozzo era tornato in libertà nonostante condannato all'ergastolo per un problema procedurale, come aveva spiegato il procuratore capo Giovanni Salvi il giorno del fermo del boss: la condanna a vita gli era stata comminata dopo l'estradizione avvenuta dalla Germania nel 1991, che era stata concessa per una pena a 20 anni di reclusione.
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