CATANIA. «Nella mia esperienza, fin'ora, non era mai capitato che la giustizia vaticana arrivasse prima di quella civile. Naturalmente, la consideriamo una cosa positiva, segno anche dei mutati atteggiamenti della Chiesa che, oltre alle vittime di reati come questo, fanno bene prima di tutto alla Chiesa stessa». Roberto Mirabile, presidente della «Caramella Buona», l'associazione che ha seguito Teo Pulvirenti nella sua battaglia per far venire a galla la storia degli abusi subiti da ragazzo, commenta con queste parole la notizia della condanna, emessa dal tribunale ecclesiastico, nei confronti di don Carlo Chiarenza, il sacerdote accusato di aver abusato, appunto, di Teo quando questi era appena quindicenne. La notizia venne a galla nel febbraio del 2012, pochi mesi dopo l'insediamento del nuovo vescovo Antonino Raspanti. Teo Pulvirenti, giovane ricercatore acese, trovò infatti la forza di denunciare gli abusi che il sacerdote avrebbe perpetrato nei suoi confronti quando Chiarenza era solo parroco nella chiesa di San Paolo e Teo un volontario impegnato in parrocchia. Le rivelazioni di Teo arrivate prima attraverso un libro, «Golgota», il cui autore aveva però usato nomi fittizi, poi attraverso una conferenza stampa pubblica, ebbero come conseguenza l'apertura di un doppio procedimento, quello civile (ma il reato dovrebbe andare prescritto) e quello ecclesiastico, che ha chiuso la sua prima parte con la condanna del sacerdote da parte della giustizia vaticana: «Teo piange da 24 ore, finalmente di felicità - commenta ancora Roberto Mirabile -. Il suo timore era quello di non essere creduto, ma con la mole di documentazione che abbiamo presentato a sostegno dell'accusa, non avevamo dubbi che l'esito sarebbe stato questo. C'è ancora un secondo grado di giudizio, ma restiamo fiduciosi». A dare la notizia della condanna, è stato lo stesso vescovo Antonino Raspanti: «In questo grado, non definitivo, il sacerdote è stato ritenuto responsabile degli abusi denunciati - spiega -. Dovrà sottoporsi ad alcune restrizioni, in osservanza delle quali dovrà dimorare per alcuni anni fuori dalla Diocesi non assumendo incarichi ecclesiali e non svolgendo il ministero in pubblico. A lui è data la possibilità di ricorrere entro sessanta giorni presso la suddetta Congregazione».
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