CATANIA. Duro scontro, in aula fra Pg e difesa davanti ai giudici d'Appello che si stanno occupando delle misure di prevenzione per Sebastiano Scuto. Sono interessati al procedimento, oltre all'imprenditore, la moglie Rita Spina, suo fratello Domenico, i figli Caterina, Concetta e Salvatore nonché i generi. L'ex "re" dei supermercati in Sicilia, lo scorso 18 aprile, è stato condannato per associazione mafiosa a 12 anni dalla Corte d'Appello. Nella sentenza è stata disposta anche la confisca dell'intero patrimonio. Secondo il pg, Gaetano Siscaro "la Corte ha materiale abbondante, costituito dalla sentenza di primo grado, dai motivi di Appello, dalle motivazioni della sentenza di secondo grado, dal ricorso in Cassazione. A tutto questo si aggiungono le perizie e le consulenze". Nella specificità del giudizio, che riguarda le misure di prevenzione, il Pg ha sottolineato ai giudici quanto stabilito in due sentenze che riguardano "le prove indirette o indiziarie" e le "circostanze di fatto accertate in processi penali prescindendo dagli esiti". Già perché la vicenda penale di Scuto resta ancora appesa al verdetto della Cassazione, atteso per giugno.
La difesa ha duramente ribattuto all'accusa chiedendo di potere ascoltare, in una udienza, due consulenti e tre testi. Richieste, queste, che ieri sono state rigettate dalla Corte. Tommaso Tamburino, che assiste Salvatore, figlio di Scuto, ha consegnato i certificati attestanti la residenza del giovane nella casa in cui vive. Il rischio, che temono, è il sequestro anche degli immobili in cui abitano con le rispettive famiglie e di quelli ereditati dai nonni. "I terzi - dice l'avvocato Francesca Ronsisvalle - non erano nel processo penale e non hanno potuto difendere i loro diritti e dimostrare che le società, di cui sono titolari, hanno un circuito finanziario lecito. Così anche per l'acquisizione delle proprietà immobiliari. Molti beni sono stati ereditati da Rita Spina, altri dal padre di SebastianoScuto. Non possono fare parte della confisca. E' una palese ingiustizia".
Confida nel ricorso in Cassazione, per la definizione del processo penale, l'avvocato Giovanni Grasso che invita alla cautela. "In questo procedimento sulle misure di prevenzione - dice - ci troviamo davanti ad una decisione che si collega ad una sentenza non ancora definitiva. Il verdetto dell'Appello presenta numerosi vizi, errori. E' logico attendere. Non capisco il perché di questa "ghigliottina" sulle nostre richieste di prove. Nel ricorso in Cassazione abbiamo detto che Scuto era un soggetto sottoposto ad estorsione. Questo è stato riconosciuto fino a metà degli anni '80. Secondo noi, le estorsioni nei suoi confronti sono proseguite. La sentenza d'Appello si fonda sulle dichiarazioni di alcuni collaboranti che vengono smentiti in altri atti processuali. Dal punto di vista economico - prosegue l’avvocato di Sebastiano Scuto - non vi è prova di immissioni illecite nelle società dell’impreeditore. C'è, invece, la prova di una crescita lecita, costante, accertata anche da controlli della Guardia di finanza".