CATANIA. Undici imprese attive nei settori dell’edilizia, delle energie alternative e dell’agriturismo, ben duecentoventinove immobili dislocati tra Catania, Enna e Siracusa, conti bancari, una decina di capannoni agricoli e novanta automezzi. Insomma, un impero da 200 milioni di euro è stato confiscato ieri per decisione della Corte di Cassazione dalla Direzione investigativa antimafia a Mario Giuseppe Scinardo, 49 anni, originario di Capizzi nel Messinese ma residente a Militello Val di Catania. Lui, il «bovaro» divenuto imprenditore di successo, sarebbe stato — almeno, stando agli inquirenti — il braccio finanziario del boss di Mistretta Sebastiano Rampulla, fratello di Pietro, condannato come artificiere della strage di Capaci in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta.
Scinardo, già coinvolto in alcune inchieste sulla mafia dei Nebrodi, era stato arrestato nel corso dell’operazione «Iblis» nata da un rapporto dei carabinieri del Ros su affari e puntate elettorali di Cosa Nostra a Catania e in Sicilia orientale. Il quarantanovenne, fra l’altro, sarebbe stato «padrone di casa» di un summit tra boss di Enna e Messina, ospitati nell’azienda agrituristica di famiglia — ora, definitivamente sotto amministrazione pubblica — a Casale Belmontino, nelle campagne di Aidone. Tra i beni che adesso sono patrimonio dello Stato, anche le aziende dell’allevatore di Mistretta che erano state impegnate nella realizzazione di alcuni parchi eolici in Sicilia grazie alla «benedizione» del boss palermitano Salvatore «Totuccio» Lo Piccolo e della sua organizzazione: «Scinardo — scrivono i Ros nel dossier Iblis — ha lavorato nel campo dell’eolico su specifica autorizzazione dei Lo Piccolo di Palermo. Al momento del loro arresto, era stato sequestrato un pizzino in cui ordinano a Vito Nicastri (il cosiddetto «re del vento», lo scorso anno destinatario di un provvedimento-record di confisca per un ammontare di un miliardo 300 milioni euro, ndr) di continuare con Scinardo, escludendo altri».
Al quarantanovenne, peraltro, sono riservate molte pagine dell’ordinanza di custodia cautelare «Iblis», in cui viene indicato come uomo di fiducia del cugino di don Nitto Santapaola, Angelo, ammazzato nel 2007 insieme con il suo autista Nicola Sedici per un regolamento di conti interno. Gli investigatori sottolineano come «Mario Giuseppe Scinardo consegnasse rilevanti somme di denaro che, per la loro quantità e per la natura del rapporto in essere tra lo stesso e i Santapaola, rappresentano gli utili di un investimento della stessa famiglia mafiosa in uno dei principali business dell’epoca, quello dell’energia eolica». Agli atti dell’inchiesta, era finita pure l’intercettazione di una conversazione tra «santapaoliani» rivali di Angelo Santapaola in cui questi si lamentavano perchè «Scinardo stava facendo molti soldi, ma non pagava chi avrebbe dovuto». A questa notizia, uno degli indagati aveva minacciosamente esclamato: «Ma questo cristianu non lo sa che lo possono aspettare in qualche traversa, da qualche parte ...».
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