CATANIA. Ministero degli Interni, Comune, Comitato festeggiamenti, Arcidiocesi chiamati in solido per il risarcimento del danno in relazione alla morte del devoto di Sant’Agata, Roberto Calì, avventa nel nel corso dell’edizione 2004 dei festeggiamenti in onore della Patrona di Catania. Roberto Calì, 22 anni, disoccupato, rimase ferito dal fercolo trainato dai devoti nell’affrontare la salita di San Giuliano. Fu un errore affrontare quella salita perché ritenuta pericolosa. Il fondo della strada, infatti, era particolarmente viscido a causa della pioggia mista a cera.
Da allora prima di percorrere la salita di San Giuliano un apposito comitato ristretto valuta se esistono le condizioni per poterla effettuare di corsa così come vuole la tradizione oppure, come accaduto successivamente, procedere a passo d’uomo se non addirittura direttamente dirigersi su via Etnea bypassando una parte della processione del cosiddetto giro interno.
Il suo cuore cessò dibattere il 7 febbraio di quell’anno, in seguito alla vasta emorragia epatica, che non fu possibile bloccare, dopo che il devoto rimase schiacciato dai meccanismi dell’imponente simulacro attorno al quale una calca di fedeli si.
Il Tribunale civile di Catania ha chiamato in solido per il risarcimento del danno i quattro organismi che sovrintendono alla festa religiosa e civile (il Viminale chiamato in causa per tutto ciò che riguarda la sicurezza nel corso della festa).
La decisione è stata adottata dal giudice Dora Bonifacio che ha condannato le quattro istituzioni, in solido, a pagare un risarcimento danni complessivo di 920 mila euro ai genitori, alla vedova e ai due orfani del devoto morto.
L'indennizzo è stato riconosciuto malgrado nel processo penale siano state archiviate tutte le posizioni degli illustri indagati: l’allora sindaco Umberto Scapagnini, morto nell’aprile dello scorso anno, l’arcivescovo metropolita monsignor Salvatore Gristina, il presidente del comitato dei festeggiamenti agatini Luigi Maina, eccetto quella del «capovara» Alfio Rao, condannato in via definitiva dalla Cassazione a quattro mesi di reclusione.