CATANIA. È stato il giorno dei testi della difesa, ieri, al processo che vede imputato, per interferenze illecite nella vita privata, Vincenzo La Rosa, il noto commercialista catanese accusato da alcune sue ex collaboratrici per il ritrovamento di una penna - telecamera nel bagno dello studio. Ciò che è emerso durante l'udienza sembra però confermare alcuni elementi già noti alle parti.
Sia il vicino di pianerottolo dello studio che il portiere dello stabile hanno ribadito di avere notato una stranezza proprio il giorno del ritrovamento, denunciato dalle lavoratrici. "Quella mattina - hanno detto entrambi, ascoltati dal giudice separatamente - come siamo soliti andiamo a prendere il caffè al bar tra le 6 e le 6,30. C'era ancora buio e abbiamo notato le luci dello studio accese. Cosa mai successa prima. Pensavamo che si trattasse di una dimenticanza di chi faceva le pulizie e ci siamo detti: «Tanto poi paga Enzo».
Particolarmente ricca è stata, invece, la deposizione di un collaboratore dello studio. «Quel giorno - ha dichiarato - sono arrivato in studio intorno alle 10. La mattinata è trascorsa normalmente. Soltanto ad ora di pranzo, quando ho fatto rientro dall'acquisto dei panini, ho notato che le ragazze erano chiuse in bagno e che parlavano. Ho sentito dire ad una di loro che non avrebbe controllato la penna. In serata mi hanno detto che c'erano delle immagini compromettenti e che stavano pensando di denunciare noi tre uomini dello studio o solo il commercialista. Il giorno seguente, al bar, mi hanno fatto avanti l'idea di mettersi in proprio, di aprire un loro studio. Volevano la mia disponibilità e una copia dell'archivio delle aziende di cui si occupava lo studio La Rosa. In cambio non mi avrebbero denunciato. Ho risposto di no». Un'altra nota ha riguardato, poi, il sistema informatico. «Nello studio i computer non avevano dei codici di accesso ed erano collegati in rete. Chiunque poteva lavorare in una postazione libera». Um. Tr.
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