CATANIA. Da un mese, esattamente da un mese, in terra d’Etna si «balla». Ormai dal 5 luglio, infatti, è in piena attività eruttiva la frattura alla base del cratere sommitale di Nord-Est con boati a intervalli di pochi secondi l’uno dall’altro, avvertiti in tutta la provincia di Catania. E anche oltre. Il gigante brontola, facendo tremare porte e finestre: «Però, nessuna paura. Allo stato attuale, non esiste alcun motivo per averne — rassicura Eugenio Privitera, sismologo e direttore della sede catanese dell’Ingv, l’Istituto di Geofisica e Vulcanologia — Non abbiamo registrato alcuno sciame sismico (indicatore di possibili aperture di bocche a bassa quota, ndr) ma solo il tremore vulcanico che si mantiene su livelli superiori al normale». Altra cosa la scossa di magnitudo 2.7 della scala Richter che è stata registrata alle 10.21, ieri, con epicentro fra Cesarò e San Teodoro nel Messinese. Previsioni, ad ogni modo, non è possibile farne. Come sempre in questi casi. Il direttore dell’Ingv si limita a commentare: «Siamo in una fase stazionaria con alcune fluttuazioni. Niente di particolarmente importante, comunque».
Insomma, almeno per adesso, il vulcano abbaia ma non morde: «In realtà, siamo di fronte a un evento piuttosto modesto dal punto di vista energetico», sottolinea Privitera. Che aggiunge: «Il Sud-Est (altro cratere sommitale, attivo ancora nei mesi scorsi, ndr) ci ha recentemente abituato a fenomeni che coinvolgevano ben altre classi di energia. Siamo in presenza di una fase stromboliana abbastanza vivace sia dal punto di vista della frequenza, sia sotto il profilo acustico perché l’intera Valle del Bove assieme alla parete del Nord-Est fa da cassa di risonanza. Questo permette alle onde acustiche di propagarsi a distanza notevole. È la conformazione, il luogo in cui si trovano le bocche, che permette una maggiore propagazione delle vibrazioni. Si tratta unicamente di infrasuoni. Ma nulla di particolare». Spiega il sismologo: «Le esplosioni sono prodotte da bolle di gas nel magma. La bolla, nel momento in cui raggiunge la superficie, si spezza. I prodotti, comunque, ricadono al massimo a poca distanza dalle bocche, a ora due quelle più attive».
«L’eruzione alla base del Nord-Est — sintetizza Eugenio Privitera — si concretizza in una colata lavica che ha una scarsa capacità di propagazione, arrestandosi dopo poche centinaia di metri, e in un’attività esplosiva di tipo stromboliano». Consoliamoci: i "botti" non sono stati accompagnati dal temuto fenomeno delle "piogge nere" che in passato aveva colpito molti centri abitati — da Giarre a Bronte, da Acireale e Zafferana a Linguaglossa — e paralizzato l’aeroporto Fontanarossa. Le quattro settimane di eruzione rientrano nella normalità di un vulcano che si concede qualche pisolino, ogni tanto, e nulla più. «Nell’Etna il flusso di magma dal sottosuolo alla superficie è continuo: questo materiale, dunque, deve pur essere smaltito!», puntualizza il responsabile della sezione dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia dalla sua stanza su piazza Roma.