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Esportazioni, la Russia chiude ai prodotti etnei

CATANIA. In aeroporto a Mosca o lungo l’Arbat, la celebre «passeggiata» nella capitale sovietica, non è più una sorpresa imbattersi nell’insegna «Ionia Caffè». Le piante «Faro», invece, sono ben radicate nel parco di un albergo di Sochi, che s’era rifornito in terra d’Etna alla vigilia dei giochi olimpici invernali. E «Fratelli Zappalà» ha da tempo in piedi una trattativa per conquistare con le proprie mozzarelle, dopo Giappone e Stati Uniti, Germania e Nuova Caledonia, anche il mercato russo. Affari, produzione, lavoro. Una bella fetta di export catanese, presente e futuro, rischia ora di sparire a causa della decisione del presidente Vladimir Putin che ha chiuso le frontiere ai prodotti europei e statunitensi come contromisura all’embargo commerciale e finanziario disposto da Ue e Usa in seguito alla guerra in Ucraina.
«Siamo preoccupati — ammette Ivan Mazzamuto, imprenditore agrumicolo che aderisce all’organizzazione produttori «OPAgriSicilia» di Paternò — Proprio adesso, peraltro, avevamo avviato con il Distretto Agrumi di Sicilia un ambizioso progetto di espansione in Russia partecipando in febbraio a una fiera di settore a San Pietroburgo. Un’altra è in programma, a breve. Così, si vanifica tutto». «In passato qualcuno già esportava arance, limoni, mandarini ma in piccola quantità — afferma Federica Argentati, presidente del Distretto Agrumi di Sicilia — Con una migliore organizzazione stiamo provando a ricavare maggiori spazi in quel mercato, pur sapendo quanto sia complesso. Stiamo, peraltro, tentando di far conoscere l’arancia rossa, che lì non è molto nota. Per questo, ci siamo iscritti come espositori al World Trade Moscow che si terrà in settembre. Come finirà, a questo punto?».
Impossibile, ieri, rintracciare telefonicamente i titolari della Torrefazione «Ionia» di Santa Venerina. Mario Faro, uno dei nomi più noti del florovivaismo isolano e nazionale con l’azienda di famiglia che ha sede a Riposto, parla invece di una «seconda mazzata russa su un settore già in crisi». E spiega: «Lo scorso anno, il governo di Mosca aveva deciso di bloccare le importazioni per replicare allo stop comunitario negli acquisti di barbabietola. Noi, lì, avevamo 5 o 6 clienti. Tutto perso. Con i giochi di Sochi, la riapertura delle frontiere. Noi avevamo ricevuto una fornitura in quella regione, che ha clima mite e quindi è adatta alle nostre produzioni. Ora, un altro problema...».
Agroalimentare in ansia per il «controembargo» moscovita. Lo conferma pure Silvio Ontario, il manager catanese che è presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria Sicilia: «Non abbiamo qui aziende, ad esempio moda e auto, che possono risentire di questo blocco — commenta Ontario — È il settore primario, quindi, a subire maggiormente gli effetti del provvedimento». Qualcuno, comunque, si salva. Sono i produttori di vino e alcolici, esclusi dallo «stop» assieme agli esportatori di tabacco e cereali. Anche così, comunque, va in fumo un volume d’affari miliardario per le aziende dell’Unione: la Commissione europea ha calcolato che lo scorso anno, per i soli comparti interessati dall’embargo, le esportazioni comunitarie avevano raggiunto la considerevole cifra di 5 miliardi 525 milioni di euro.

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