CATANIA. Un assistente capo di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Bicocca, a Catania, Mario Musumeci, è stato arrestato dai carabinieri del comando provinciale di Catania per corruzione continuata e detenzione a fine di spaccio di marijuana e cocaina, reati commessi dal 2009 sino al febbraio 2013. L'uomo, che forniva la droga ad affiliati dei clan mafiosi, è stato posto agli arresti domiciliari. Il provvedimento restrittivo nei suoi confronti è stato emesso dal gip su richiesta della Procura. Con Musumeci sono indagati altri quattro agenti per i quali la Procura aveva chiesto l'arresto, ma il gip non ha ravvisato elementi che portassero a esigenze di custodia cautelare, anche perché hanno interrotto il rapporto lavorativo con l'amministrazione penitenziaria per intervenuto pensionamento, congedo o per sospensione dal servizio attivo: Antonino Raineri, Giuseppe Seminara, Vito Limonelli e Gerardo Cardamone. Le indagini, che si sono avvalse del contributo di diversi collaboratori di giustizia e di intercettazione, hanno consentito di documentare l'esistenza di un sistema di corruzione nel quale erano coinvolti in modo sistematico alcuni agenti di polizia penitenziaria in servizio nelle carceri di Piazza Lanza e Bicocca, che in modo continuativo e dietro il pagamento di denaro - in qualche caso una tantum e in altri con cadenza mensile - avrebbero favorito numerosi affiliati a organizzazioni mafiose che operano a Catania e provincia durante i periodi di detenzione. Secondo quanto accertato alcuni agenti sarebbero stati disposti, dietro pagamento di somme di denaro, a favorire le richieste provenienti da detenuti appartenenti a consorterie mafiose o vicini a esse. Si andava dall'introduzione all'interno del carcere di materiali di genere vietato, quali alimenti non consentiti, sostanze alcoliche, profumi, telefoni cellulari, supporti informatici Mp3, cocaina e marijuana, fino a garantire a elementi di spicco di clan la possibilità di incontrarsi tra loro riservatamente, di avere colloqui telefonici con i propri familiari anche oltre il numero massimo consentito, di essere tempestivamente avvisati in occasione dell'imminente esecuzione di misure cautelari, di ricevere e veicolare messaggi e comunicazioni ai congiunti. Nell'ambito della stessa indagine sono stati denunciati, per concorso in corruzione, numerosi detenuti che hanno usufruito delle illecite prestazioni dei pubblici ufficiali.