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Estorsioni e traffico di droga, blitz contro un clan della fascia ionica: 14 arresti

CATANIA. Sedici provvedimenti restrittivi eseguiti dai carabinieri nei confronti del clan Brunetto, che opera tra Bronte, Castiglione di Sicilia e Fiumefreddo di Sicilia, legato a Cosa nostra di Catania attraverso collegamenti con la 'famiglia' Santapaola-Ercolano.

Sono 14 le persone arrestate, e tra queste c'è Vincenzo Lomonaco, 45 anni, ritenuto il capo del gruppo a Castiglione di Sicilia. Il provvedimento è stato notificato in carcere a Pietro Carmelo Oliveri, di 48 anni, che, secondo la Dda della Procura di Catania, dopo la morte, nel 2013, di Paolo Brunetto, sarebbe stato il 'reggente' della cosca, e 'controllava' la zona di Giarre e Fiumefreddo di Sicilia. Il gruppo gestiva il racket delle estorsioni e reinvestiva gli 'utili' nel traffico di droga. Tra le vittime del clan almeno sette aziende vinicole, alcune di fama nazionale, alle quali sarebbe stato chiesto una tangente annua compresa tra mille e 12mila euro, secondo il fatturato della società. Ma anche un 'pizzo' di 500 euro mensile legato alla 'guardiania' di vigneti e frutteti, o attraverso l'assunzione di personale. Chi non si metteva in 'regola' continuava a subire danneggiamenti, come il taglio di alberi da frutto, uliveti e filari di viti. In quel caso, come emerge da un'intercettazione, l'invito era "di cercarsi un amico, ma d'urgenza...". Non tutte le aziende hanno ceduto al ricatto. E la rappresaglia era garantita: "Poi i cavalli - ordinano telefonicamente dai vertici del clan - glieli bruci nella stalla, ci vai e gli dai fuoco...".

Le indagini sono state avviate dai carabinieri della compagnia di Randazzo e del comando provinciale di Catania alla fine del 2012. E nell'aprile del 2013, a Giarre, militari dell'Arma sono riusciti a interrompere un 'summit' di mafia dove, tra gli altri, Lomonaco e Oliveri stavano delineando strategie criminali. Il gruppo aveva una grande paura di essere intercettato, tanto da essere in possesso di strumentazione all'avanguardia per 'bonificare' locali e auto da 'cimici' e invitava alla cautela preventiva: "ha i telefoni sotto controllo - dice Lomonaco, ascoltato dai carabinieri suo malgrado - che non si confonda nel parlare...". Il clan aveva in uso anche armi, ma preferiva "quelle tradizionali". "Un fucile automatico a cinque colpi - commentava Lomonaco al telefono - ha la canna lunga, meglio un due colpi, sono di meno, ma sono sicuri...". Le indagini dei carabinieri sono state coordinate dal procuratore distrettuale Giovanni Salvi e dal sostituto della Dda di Catania, Iole Boscarino.

 

 

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