CATANIA. Il Cara di Mineo, il centro accoglienza richiedenti asilo del calatino - coinvolto nell’inchiesta giudiziaria Mafia Capitale del giugno 2015 - era una “sorta di sodalizio fra un onnivoro sistema imprenditoriale e una parte della rappresentanza politico istituzionale”. È la conclusione cui è giunta la Commissione antimafia dell’ARS, al termine dell’istruttoria avviata nel febbraio 2014, prima che il Parlamento nazionale istituisse la “Commissione di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione”, (novembre 2014), e prima delle indagini sfociate nell’inchiesta romana del giugno scorso.
La Commissione – guidata dall’on. Nello Musumeci – ha anche individuato e indicato in maniera esplicita i “livelli di responsabilità politica” che, secondo loro, avrebbero hanno coinvolto “la Regione Siciliana, che ha rinunciato a svolgere un ruolo attivo attraverso la Protezione civile; la scelta di coinvolgere Odevaine nella compagine del Cara; la scelta di non intervenire dopo i fatti di Mafia Capitale e dopo il parere dell’Anac (l’Autorità anti Corruzione) sulla gara per la gestione del Cara; i sindaci aderenti al consorzio che hanno rinunciato a ogni diritto di soci, per piegarsi a logiche politiche e subire il condizionamento del sistema imprenditoriale e cooperativo; il sindaco di Mineo, che è apparso subire analogo condizionamento, con l’aggravante di essere presidente dell’Ente, da parte di Paolo Ragusa, vero e proprio “co-sindaco” della cittadina e incontrastato regista nella gestione delle risorse umane”.
Il documento divulgato ieri dalla Commissione Antimafia dell’Ars riporta poi un elenco di nomi, fra cui vari attori che a livello istituzionale e imprenditoriale sarebbero coinvolti nell’inchiesta. Vengono tracciati i profili e le presunte responsabilità relative all’istituzione del Consorzio fra i Comuni; la cooptazione di Luca Odevaine, uno dei principali inquisiti di Mafia Capitale, come consulente; informazioni su appalti, assunzioni, condizioni dei migranti e ricadute economiche sui territori.
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