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Agguato a impresario di pompe funebri, in due tornano alla sbarra a Catania

CATANIA. Tornano alla sbarra per l'agguato a un impresario di pompe funebri. Almeno il cugino che è considerato la mente di quell'imboscata. Mentre un secondo imputato risponde solo di associazione mafiosa. Entrambi chiamati sul banco degli imputati per l' appello "bis" dinanzi la corte d' Assise d' Appello di Catania (presieduta da Luigi Russo).

Sono Diego «Dino» Calì (difeso dall' avvocato Antonio Impellizzeri), imprenditore sancataldese nel settore del "caro estinto" e il bracciante agricolo di Marianopoli, Salvatore Lombardo. Le loro posizioni, quanto ad imputazioni, passano per una netta differenziazione. Li accomuna soltanto l' esito del precedente passaggio in Cassazione che s' è concluso, per tutti e due, con l' annullamento della condanna rimediata nel primo processo d' appello. Ma per accuse assai differenti tra loro.

Sicuramente più pesante la posizione di Calì che, oltre che uomo vicino a Cosa nostra, secondo la tesi accusatoria, sarebbe stato la "regia" della missione di morte con obiettivo il cugino, Salvatore Calì, pure lui nel campo delle pompe funebri e con un passato in Cosa nostra.

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