ROMA. Le prove dei contatti con i trafficanti di esseri umani: audio, foto, video, tracciati radar e documenti cartacei che documentino le operazioni di ricerca e soccorso dei migranti e che dimostrino i rapporti tra il personale a bordo della nave umanitaria e le organizzazioni che gestiscono i traffici in Libia. Cercavano questo gli uomini della Polizia e della Guardia Costiera che, su mandato della procura di Trapani, hanno perquisito la Vos Hestia, la nave di Save the Children impegnata nel Mediterraneo centrale per il salvataggio di uomini, donne e bambini. Un’inchiesta che ha già portato ad agosto al sequestro di un’altra nave, la Iuventa della Ong tedesca Jugen Rettet, grazie alle informazioni raccolte da un agente sotto copertura che ha operato per oltre 40 giorni proprio a bordo della Vos Hestia.
«La perquisizione è relativa alla ricerca di materiali per reati che, allo stato attuale, non riguardano Save the Children», si difende la Ong parlando di «presunte condotte illecite commesse da terze persone": «abbiamo sempre agito nel rispetto della legge, tutte le operazioni sono state condotte in strettissimo coordinamento con la Guardia Costiera italiana e nella massima collaborazione con le autorità. Confidiamo che la magistratura, nella quale abbiamo piena fiducia, faccia immediata chiarezza sull'intera vicenda».
Nel decreto di perquisizione e sequestro, i pm Andrea Tarondo e Antonio Sgarrella chiedono di sequestrare tutta una serie di documenti cartacei ed informatici, telefoni cellulari, satellitari e pc poiché ritenuti «indispensabili al fine di accertare le modalità di acquisizione delle notizie relative alle partenze dalle coste libiche delle imbarcazioni» che trasportano i migranti. Ed inoltre, di «individuare gli apparecchi utilizzati per le comunicazioni con soggetti che gestiscono il traffico di migranti dal territorio libico».
Dunque, secondo la procura, qualcuno a bordo manteneva contatti con i trafficanti. Chi? E come? Un’ipotesi che era emersa dalle dichiarazioni agli investigatori e dalle telefonate intercettate degli uomini della 'Imi Security Servicè, la società che si occupava della sicurezza a bordo della nave di Save the Children, che hanno dato il via all’indagine che ha poi portato al sequestro della Iuventa. Agli atti dell’inchiesta c'è ad esempio una telefonata tra Pietro Gallo e Lucio Montanino (due operatori della Imi, ndr) nella quale il primo afferma che a «Save the Children arrivano messaggi sul cellulare» dalla Libia e il secondo che si tratta di messaggi «con le posizioni dei profughi e delle navi». «Il personale di Save the Children - mette a verbale Montanino - ha sempre effettuato riprese video e fotografiche di tutte le attività. So anche che, quando è stato richiesto loro dalla polizia se avessero materiale loro hanno negato, salvo poi pubblicare alcune di queste foto sul loro sito per acquisire donazioni».
Della chat si parla anche in una telefonata del 27 febbraio tra Gallo e il titolare della 'Imì Cristian Ricci. «C'è una chat che arriva sul telefono del team leader di Save the Children che indica dove sono i migranti», dice Ricci. E quando gli investigatori gli chiedono come la Ong abbia le notizie relative alla posizione dei migranti, risponde così: «Uno era la capitaneria che ci mandava, due si incontravano per la strada perché era un periodo che era sempre pieno e tre...andavamo perché arrivava la segnalazione in sta chat». E tra il materiale sequestrato - pc e tablet, hard disk portatili e computer di bordo - c'è anche un satellitare e un cellulare in uso proprio al team leader della Ong. I poliziotti hanno preso anche il giornale nautico e il brogliaccio di navigazione da agosto 2016 ad oggi: il primo è un documento previsto dal codice della navigazione e riporta gli atti ufficiali della nave; il secondo una sorta di diario in cui si annota quel accade a bordo.
Caricamento commenti
Commenta la notizia