L’ex capo della Dia, il questore Agostino Pappalardo, ha presentato alla Procura di Catania una querela per diffamazione aggravata nei confronti del senatore Mario Giarrusso, ex M5s e adesso nel gruppo Misto. Al centro dell’esposto, presentato dall’avvocato Goffredo D’Antona, l'intervento del senatore, il 21 luglio del 2020, davanti alla Commissione nazionale antimafia, di cui fa parte, durante l'audizione del deputato regionale siciliano Claudio Fava trasmessa anche dalla web Tv del Parlamento. «Al minuto 35.44 - si legge nella querela - Giarrusso affermava che secondo la sentenza sulla trattativa Stato mafia della Corte di Assise di Palermo del 20 aprile 2018 io sarei quel dirigente della Dia che avrebbe ostacolato la cattura di Bernardo Provenzano. Da una prima lettura delle sue affermazioni sembra quasi che io sia stato imputato e condannato in quel processo o che quanto meno constatato il mio coinvolgimento nel mancato arresto del Provenzano la Corte avrebbe trasmesso gli atti alla competente Procura per procedere nei miei confronti. Ovviamente è tutto falso». «È vero che la Corte affronta il tema della mancata cattura di Provenzano - si sottolinea nella querela - ma non lo attribuisce certo a me, alla Dia o alla Polizia. Per condire la sua falsità il senatore Giarrusso cita tre persone che avrebbero testimoniato nel senso dallo stesso affermato: due poliziotti Arena e Ravidà ed il pm. Nicolò Marino. È vero che i testi parlano della mancata cattura del Provenzano, ma non mi attribuiscono alcun ruolo». «Quanto affermato dal Giarrusso, assolutamente gravissimo - osserva l’ex capo della Dia - non è solo lesivo della mia onorabilità e del mio Corpo di appartenenza, è una accusa infamante. E Giarrusso non è uno sprovveduto o un ignorante o un semplice avventore da bar. È un senatore della Repubblica componente, appunto, della commissione Antimafia, autore di libri sulla mafia, e con un curriculum di esperto della materia. È un avvocato. Il perché abbia agito in tal modo poco importa. Il dato oggettivo è il contenuto di tali affermazioni. Che sono comunque lesive della mia onorabilità».