L’attività del terribile cratere di Sud-Est dell’Etna sembra ormai inarrestabile. Dall’Ingv si susseguono i comunicati che monitorano una situazione di estrema vivacità del vulcano attivo più alto d’Europa. Si moltiplicano i disagi e le difficoltà delle amministrazioni e delle popolazioni di tutti i Comuni che sorgono intorno, compresa la città metropolitana e l’aeroporto.
Ormai è uno stillicidio, che mette in luce l’assoluta impreparazione a far fronte ad una situazione che sta avendo ripercussioni notevoli sia a livello economico che psicologico. Le eruzioni e i parossismi non vengono più percepiti come “ meraviglioso spettacolo” della natura, ma come un vero e proprio incubo per chi a turno è costretto a prendere ramazza e paletta per ripulire terrazzi, chiamare operai per la pulitura dei tetti e mezzi per il trasporto della sabbia nei punti di raccolta ormai stracolmi.
Salvatore Caffo, geologo e dottore di ricerca presso il ministero dell’Università e della ricerca di Roma, per anni professore di Scienze naturali, Chimica e Geografia nei licei statali, ora dirigente vulcanologo dell’Ente Parco dell’Etna, si occupa di ricerca scientifica e di tematiche ambientali. Ha partecipato, come autore, alla stesura di diversi volumi. Interviene sulle ripercussioni fisiche e psicologiche delle continue emissioni di sabbia vulcanica dell’Etna, che stanno mettendo in ginocchio le popolazioni della plaga catanese, in particolare.
“Premetto che credo nelle azioni comuni e dal momento che i paesi etnei e la città di Catania difficilmente potranno essere delocalizzati, si potrebbe e dovrebbe, anche con piccoli gesti di azione civile e di 'pressione' sulle autorità e sulle amministrazioni, sollecitare chi ha funzioni di responsabilità di governo del territorio. Da parte nostra, occorre cambiare il paradigma del nostro rapporto con il territorio e conseguentemente adattarci alle attività dell’Etna, come delle mutate condizioni atmosferiche e climatiche”.
Ed ecco cosa suggerirebbe: “Ad esempio anche se è poco, costruendo sistemi di sgronda delle caditoie e dei pluviali per scaricare la cenere e le scorie. Creare sistemi di impermeabilizzazione dei canali delle case rurali e di quelle ristrutturate per agevolare la pulizia e lo sgombero. Evitare i sovraccarichi statici di strutture modificate. Creare aree libere ed utili a protezione dei luoghi a maggiore vulnerabilità in caso di colate laviche. Decostruire sistematicamente tutte quelle infrastrutture obsolete o non più utili e funzionali anche in questo caso per limitare e contenere i disagi e i danni in caso di eruzioni laterali. Qualcosa e non poco si può fare attraverso un’attenta pianificazione territoriale che tenga in debito conto le tipologie di attività naturali cui siamo sottoposti. Sarà poco, ma sicuramente non si è mai fatto! Nulla ci viene regalato ma è tutto frutto di una sana educazione civica alla convivenza e alla risoluzione dei problemi delle collettività in cui si vive”.
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