Onore e interesse violati, questo il movente che portò il 31 ottobre 2016 all’omicidio, a Riposto, di Dario Chiappone, un pizzaiolo di 27 anni. A dare l’assenso all’agguato mortale sarebbe stato Benedetto La Motta, boss del territorio di Riposto, che è stato condannato a 30 anni di carcere, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, a tre anni di vigilanza speciale dopo avere scontato la pena e al risarcimento dei danni ai tre familiari della vittima, ai quali è stata riconosciuta una provvisionale di 15.000 euro ciascuno. La sentenza è stata disposta dal giudice per le indagini preliminari, Simona Ragazzi, dopo il rito abbreviato. L’accusa è stata sostenuta dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dal sostituto Santo Di Stefano. Per il delitto, commesso con 16 coltellate, 2 alla gola e all’addome, sono stati condannati in primo grado gli autori materiali Agatino Tuccio, 55 anni, all’ergastolo, e Salvatore Di Mauro, 57 anni, detto Turidduttu, a 23 anni di reclusione. Entrambi sono ritenuti elementi di spicco della malavita locale. Il mandante sarebbe Paolo Censabella, attualmente imputato in Corte d’assise insieme ad Antonino «Nino» Marano, uno dei «killer delle carceri», che appena scontata la detenzione di circa 50 anni (due ergastoli per due omicidi e altrettanti tentati omicidi) era subito rientrato nei ranghi della criminalità organizzata, nonostante l’età avanzata. Censabella avrebbe chiesto al boss La Motta di potere fare assassinare Dario Chiappone perché aveva una relazione sentimentale con una donna che in precedenza era stata la sua compagna. L’agguato scattò proprio mentre Chiappone si era appartato in compagnia della commerciante di 41 anni in via Salvemini, a Riposto. La donna fu impotente testimone della brutale e mortale aggressione. Le indagini svolte dai carabinieri presero subito una precisa direzione grazie ad una videocamera di sorveglianza che aveva ripreso una Ford Fiesta allontanarsi velocemente dal luogo dell’omicidio.