Donne carnefici e vittime: autrici di figlicidi ma spesso a loro volta con una storia di maltrattamenti se non addirittura abusi alle spalle. Che maturano condizioni come un disturbo di personalità o il cosiddetto complesso di Medea nel tempo, perché «non ci si trasforma improvvisamente in mamme omicide». Donne a cui insieme ai bambini, va prestata più attenzione perché molte cose rimangono nel silenzio assordante delle mura domestiche. Così descrive le mamme come quella di Catania, che hanno posto fine alla vita del loro figli, lo psichiatra Claudio Mencacci, direttore emerito di Neuroscienze all’Ospedale Fatebenefratelli Sacco di Milano. La «stragrande maggioranza delle mamme - tiene a sottolineare Mencacci - non perde la testa da un momento all’altro, con la conseguenza di un dramma come quello di Catania. Però sappiamo che i fattori di rischio sono sicuramente l’età giovane, un livello di istruzione basso e anche intellettivamente non brillante, spesso condizioni di basso livello socio economico». A tutto questo, secondo l’esperto, vanno aggiunte alcune condizioni di rischio familiare e ambientale: «Instabilità familiare legata alla separazione e poi la condizione di una bambina con un temperamento complesso, difficile». Ma molte situazioni di figlicidio riguardano anche donne che già mettevano in atto forme di maltrattamento dei propri bambini, spesso «un comportamento impulsivo che può avere la madre in risposta a pianti, urla, applicazione delle regole. E ciò che ne consegue può essere accidentale: non vi è cioè l'intento premeditato dell’uccidere il bambino, ma ciò avviene come atto estremo dell’evoluzione di quella che è definita 'sindrome del bambino «maltrattato». La gelosia verso la nuova compagna del marito, un’altra ipotesi e per la Procura uno dei moventi, è per Mencacci «la caratteristica intrinseca del complesso di Medea», che implica che «si soffre di una gelosia e una ossessività patologiche e il fattore scatenante è proprio la conflittualità col compagno e la bambina è utilizzata come uno strumento per creare sofferenza. Azioni come queste - conclude - sono spesso precedute da recentissime liti con gli ex compagni».