I due imprenditori contigui al clan mafioso di Adrano: prelievi e bonifici fittizi per mettere le mani sul denaro di un'azienda fallita
I tre arrestati dell'operazione Replay della guardia di finanza di Catania sono indagati, a vario titolo e in concorso con le atre 28 persone indagate, dei reati di bancarotta fraudolenta e documentale, omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio e reimpiego di denaro illecito. L'indagine, coordinata dalla procura di Catania, è stata effettuata dai finanzieri del comando provinciale. L'ordinanza del gip è stata eseguita in collaborazione con lo Scico (Servizio centrale investigazioni sulla criminalità organizzata) e con l’ausilio dei comandi provinciali di Milano, Monza, Napoli, Roma, Varese e Verona. Il giudice ha disposto, inoltre, il sequestro, nei confronti di tutti gli indagati, delle quote sociali di 25 imprese nonché di beni e altre utilità nella disponibilità di ciascuno di loro, per un ammontare complessivo pari a 86 milioni di euro. In carcere sono finiti gli imprenditori Antonio e Francesco Siverino, padre e figlio. Ai domiciliari Alfredo Leotta. L’indagine trae origine dallo sviluppo di alcune circostanze emerse nel corso dell’operazione Follow the Money, che ha riguardato alcuni degli attuali destinatari di misura, tra cui due imprenditori ritenuti nella precedente inchiesta contigui al clan Scalisi di Adrano, articolazione locale della famiglia mafiosa Laudani. Il procedimento penale scaturito da quella operazione è stato definito con la condanna in primo grado di 8 imputati che avevano optato per il rito abbreviato ed il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa dei due imprenditori, già tratti in arresto nel 2021. Questi ultimi avrebbero sistematicamente favorito il clan Scalisi e il suo esponente di spicco, fornendo, mediante l’alimentazione della cassa e il mantenimento del gruppo e dei suoi sodali, un contributo, stabile e protratto nel tempo, alla realizzazione delle finalità dell’organizzazione mafiosa, al consolidamento del potere economico e all’occultamento e all’incremento del patrimonio del sodalizio, in cambio del quale avrebbero ricevuto protezione e agevolazione nell’espansione delle proprie attività imprenditoriali. In particolare, a conclusione dell'operazione Follow the Money, alcune unità specializzate del nucleo di polizia economico finanziaria di Catania e dello Scico della guardia di finanza hanno effettuato perquisizioni locali in esecuzione delle misure cautelari disposte dal tribunale di Catania nel 2021 nei confronti di 5 indagati, rivenendo documenti societari riferibili non soltanto alle aziende già monitorate in quella fase d’indagine, ma anche a ulteriori società e attività imprenditoriali, apparentemente intestate a soggetti terzi, ma di fatto ritenute riconducibili ai due imprenditori. Nel nuovo filone investigativo, su delega della procura, sono stati approfonditi i rapporti commerciali e i flussi finanziari all’interno della rete di 25 imprese facenti capo a tali imprenditori e, al contempo, ricostruite le cause che hanno portato al gravissimo dissesto economico di una delle principali società gestite dai medesimi, avente sede a Catania, la Sl Group. Tale impresa, attiva nella commercializzazione di carburante e formalmente amministrata da un soggetto di comodo, è stata dichiarata fallita dal tribunale di Catania con sentenza del 15 ottobre 2021, a seguito di istanza di fallimento presentata dalla procura. Gli approfondimenti delle fiamme gialle sulla società fallita hanno evidenziato che lo stato di decozione societario sarebbe stato determinato da due principali fattori: le molteplici e ripetute violazioni alle norme tributarie legate all’omesso versamento dell’Iva per oltre 9,7 milioni di euro solo nel 2019 e stimate nel complesso (per gli anni 2019-2020) in 50 milioni di euro; le condotte di carattere distrattivo operate dai reali dominus, ovverosia i due imprenditori già citati, che, con il concorso di prestanome a capo di sei diverse società, tutte riconducibili ai due imprenditori, avrebbero operato ingiustificati prelievi in contante e bonifici in favore di tali compagini societarie, così drenando liquidità per non meno di 27,7 milioni di euro in un arco temporale di poco più di 3 anni (metà 2018 - inizi 2021). Le distrazioni delle risorse sarebbero avvenute in un primo momento a favore di sei società (con sede a Catania, Enna e Milano, operanti nel settore della commercializzazione di carburanti, nella logistica e trasporti e nella compravendita di autoveicoli) e di una persona fisica, rappresentante legale di ulteriori 2 imprese (con sede a Catania e in Bulgaria, attive nel settore della logistica e dei trasporti). Sono state inoltre individuate e ricostruite molteplici operazioni di trasferimento di fondi infragruppo, potendo gli imprenditori contare sul controllo di fatto di un numero consistente di aziende, in totale 25, dislocate in diverse province del territorio nazionale (Catania, Milano, Napoli, Roma, Varese e Verona). Tali operazioni avrebbero consentito di riciclare e reimpiegare nel circuito economico legale somme di denaro stimate in circa 48 milioni di euro, rendendo difficoltosa l’identificazione della loro provenienza delittuosa. In un caso, ad esempio, le somme trasferite dalla fallita ad un’altra società della rete, pari a 6 milioni di euro, sono state successivamente frazionate e trasferite, senza una reale ragione economica, ad altre 11 imprese rientranti sempre nel reticolo societario controllato dai due principali indagati. In un altro caso, invece, la società fallita ha trasferito circa 9,5 milioni di euro ad una società la quale, analogamente a quanto avvenuto nell’esempio precedente, ha a sua volta frazionato e dirottato tali somme su altre 10 aziende del gruppo, una delle quali ha poi impiegato parte della liquidità per l’acquisto di beni di lusso del valore di 240 mila euro. L’anello di congiunzione tra i due imprenditori e la rete dei prestanome a capo delle 25 società e ditte coinvolte sarebbe stato il soggetto posto agli arresti domiciliari, il quale avrebbe rappresentato per i formali rappresentanti legali il referente da cui ricevere indicazioni e a cui rivolgersi in caso di necessità. L'ordinanza del gip dispone la custodia cautelare in carcere nei confronti dei due imprenditori e gli arresti domiciliari a carico del referente per la rete di prestanome; il sequestro delle quote sociali di 25 attività commerciali (13 società e 12 ditte individuali), site nelle province di Catania (n. 5), Enna (n. 1), Mantova (n. 1), Napoli (n. 1), Milano (n. 13), Roma (n. 3), Verona (n. 1), operanti nel settore della logistica e dei trasporti, delle ricerche di mercato, della commercializzazione di prodotti petroliferi e metalliferi nonché della compravendita di autoveicoli; il sequestro di beni e altre utilità nella disponibilità degli indagati e comunque agli stessi riconducibili fino a concorrenza del valore complessivo di 86 milioni di euro.