Catania

Giovedì 19 Dicembre 2024

Il blitz antimafia di Paternò: i proventi degli acquisti nelle aste giudiziarie condivisi con il clan contrapposto

L'inchiesta della procura distrettuale di Catania sul clan mafioso di Paternò apre una finestra sul mondo delle aste giudiziarie. Dalle indagini dei carabinieri di Paternò, coordinate dal procuratore aggiunto di Catania Ignazio Fonzo e dai sostituti Tiziana Laudani e Alessandra Tasciotti, emerge che nell'ambito delle aste il clan poteva «contare sull'esistenza di rapporti di conoscenza con alcuni delegati alla vendita», in particolare su un avvocato di Siracusa, Gianfranco Vojvodic, cinquattottenne, nativo di Licodia Eubea, per il quale è stato disposto per un anno il divieto di esercizio della professione limitatamente alla funzione di delegato alla vendita. Nei suoi confronti è stata esclusa l'aggravante mafiosa. Il legale «si sarebbe prestato a favorire l'aggiudicazione dell'immobile all'asta in favore del figlio di una persona che si era rivolto all'associazione mafiosa». Il giro di affari, che coinvolgeva anche altre tipologie di operazioni immobiliari, avrebbe garantito consistenti guadagni, con compensi commisurati al valore del bene sul mercato immobiliare, che, di frequente, sarebbero stati condivisi dalla cosca al centro dell'inchiesta, il gruppo Morabito-Rapisarda, riconducibile al clan catanese Laudani (detti Mussi ‘i ficurinia),  con un altro clan, quello storicamente contrapposto degli Assinnata, articolazione territoriale della famiglia di Cosa nostra catanese Santapaola-Ercolano. I rapporti tra le due cosche, per affari di interesse comune, secondo l'accusa, sarebbero stati agevolati da due delle persone indagate nei confronti delle quali il gip ha accolto la richiesta di applicazione della misura cautelare in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Uno dei due è l'ex assessore del Comune di Paternò, Pietro Cirino, che, secondo la procura, «oltre ad avere stabili rapporti di affari con esponenti apicali del clan mafioso, avrebbe messo a disposizione il proprio bagaglio di conoscenze e le proprie entrature nella politica locale». L'altro indagato, imprenditore agricolo, avrebbe «messo a disposizione il magazzino di cui è titolare per consentire incontri tra i rappresentanti delle due diverse famiglie mafiose».  

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