Catania

Martedì 22 Ottobre 2024

Catania, il boss dava ordini da carcere con il telefonino

Diversi capi storici della famiglia catanese di Cosa nostra avrebbero dato ordini dal carcere, in cui erano detenuti, in varie parti d’Italia, continuando «ininterrottamente a esercitare la loro attività di indirizzo e controllo delle dinamiche criminali comunicando con i sodali liberi attraverso dispositivi telefonici che si erano procurati illecitamente e che detenevano negli istituti penitenziari». È quanto emerge dall’inchiesta Leonidi bis della Dda di Catania contro una frangia della cosca Santapaola-Ercolano rilevando che questo «dimostrerebbe l’assoluta permeabilità degli istituti penitenziari alla ricezione e all’ingresso di dispositivi di comunicazione che consentirebbero agli affiliati detenuti di mantenere contatti quotidiani con i sodali liberi, in modo da impartire le loro direttive». Tra i boss che entrano nell’inchiesta c’è Salvatore Battaglia, storico responsabile del gruppo del Villaggio Sant’Agata, assieme al fratello Santo, e protagonista di una intensa stagione di sangue negli anni ‘90, già condannato in via definitiva per mafia e omicidio, che, secondo l’accusa, «sarebbe risultato essere punto di riferimento attuale per il sodalizio criminale, capace di fornire indicazioni ai sodali circa la gestione delle dinamiche associative, a dispetto del suo status di detenuto». Battaglia avrebbe ricevuto numerose informazioni durante la detenzione dagli affiliati «in modo da essere sempre aggiornato sulle dinamiche in corso e da impartire direttive su incontri da svolgere con affiliati o soggetti di interesse sulla gestione dei proventi delle attività illecite di pertinenza del gruppo del Villaggio Sant’Agata e sui comportamenti, anche violenti, da tenere alcune situazioni». Altra «figura di interesse», emersa dalle indagini dei carabinieri, secondo la Dda di Catania, sarebbe Salvatore Gurrieri, esponente della «vecchia generazione» di affiliati: detenuto in un istituto penitenziario del Nord Italia, assieme ad altri affiliati, compreso uno dei vertici della cosca, avrebbe avuto la «possibilità di ricevere e veicolare direttamente le informazioni tra i sodali liberi e i soggetti con esso detenuti e pretendere erogazioni di denaro». Nella foto le armi sequestrate durante l'operazione Leonidi bis

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