La polizia di Catania ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 18 persone indagate, a vario titolo e con differenti profili di responsabilità, per omicidio aggravato dalle finalità mafiose, associazione mafiosa, porto e detenzione illecita di armi da sparo. Il provvedimento cautelare ha raggiunto in carcere 9 degli indagati. L’inchiesta, secondo la Direzione distrettuale antimafia etnea, avrebbe consentito di individuare gli esecutori materiali dell'omicidio di un omicidio di Nicola Ciadamidaro commesso ad Adrano il 16 giugno del 2016 e di risalire a esponenti mafiosi chiamati a ricoprire i ruoli di vertice del clan Santangelo di Adrano e della frangia del clan Mazzei di Catania operante in quel territorio.
Le indagini della squadra mobile e del commissariato di Adrano, supportate da presidi tecnici, hanno preso spunto dalle dichiarazioni rese nel dicembre 2019 dal collaboratore di giustizia Giovanni La Rosa: secondo il pentito era stato un caso di lupara bianca, commesso su ordine dei vertici del clan mafioso Santangelo, da Gianni Santangelo, detto «Giannetto», Nicolò Rosano, Antonino Bulla e Salvatore Crimi per vendicare il triplice omicidio di Alfio Rosano, Daniele Crimi e Alfio Finocchiaro, avvenuto il 27 luglio del 2006 a Bronte.
Le attività investigative sono state corroborate dalle dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia nei confronti dei quattro come esecutori materiali dell’omicidio. Sul triplice omicidio aveva già fatto luce un’indagine della polizia con i colpevoli arrestati dalla squadra mobile e dal commissariato di Adrano nell’ambito dell’operazione Meteorite dell’ottobre 2006: erano appartenenti alla cosca Liotta-Mazzone di Adrano di cui avrebbe fatto parte anche la vittima.
La vendetta sarebbe stata atroce nella dinamica: Ciadamidaro, dopo la sua scarcerazione nel 2014, si era allontanato da Adrano per poi farvi ritorno. Mentre si recava in palestra alla guida del suo scooter veniva fermato e sequestrato dagli uomini del clan Santangelo che lo caricavano a bordo di un furgone e lo portavano in una campagna isolata, dove, dopo averlo torturato, lo uccidevano decapitandolo.
Dalle indagini è emerso che nonostante i duri colpi dal clan Santangelo con l’arresto di decine di affiliati di rango apicale la cosca ha mantenuto inalterata la sua operatività ad Adrano. Ai vertici ci sarebbe stato Toni Ugo Scarvaglieri che, con la detenzione di tutti gli altri elementi di rango, avrebbe assunto la guida della famiglia mafiosa. Anche Bulla e Crimi, dopo la scarcerazione, sebbene alla detenzione domiciliare, avrebbero continuato ad avvalersi del ruolo di coordinamento di Scarvaglieri e avrebbero ripreso il comando del clan Santangelo.
Nell’inchiesta entra anche il gruppo criminale capeggiato da Cristian Lo Cicereo, referente del clan mafioso catanese Mazzei, che sarebbe entrato in attrito con le due storiche famiglie mafiose Santangelo e Scalisi. Durante l’attività sono state sequestrate diverse armi in dotazione ai due sodalizi mafiosi, tra cui una mitraglietta vz.61 Skorpion calibro 7.65, una pistola semiautomatica Beretta
70 calibro 7.65 con matricola abrasa, un fucile automatico calibro 12 nonché caricatori e munizioni di svariato calibro.
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