
Non si deciderà prima del 2027 la causa che contrappone Maurizio Di Stefano, ex libraio vittima del racket in Sicilia e ora ristoratore a Bologna, allo Stato italiano. Di Stefano ha infatti impugnato, rivolgendosi al tribunale civile di Catania, la cartella esattoriale da 150 mila euro ricevuta quando gli sono stati revocati i finanziamenti inizialmente ottenuti dal fondo per la solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e usura.
Ma il processo, per motivi di priorità (il caso non è considerato urgente e non rientra tra gli obiettivi del Pnrr) si aggiorna al 20 gennaio 2027 quando saranno precisate le conclusioni.
«Per me è un’altra beffa, un altro stop della burocrazia: anche se la giustizia dovesse accogliere le mie ragioni, sarà passato almeno un altro anno e mezzo. E intanto, come faccio?», commenta Di Stefano, che 15 anni fa fu costretto a chiudere la libreria in centro a Catania per le intimidazioni subite dalla mafia. Andato via dalla Sicilia, è ripartito a Bologna, dove gestisce un locale («Liccu», in via Ranzani) con specialità della sua terra d’origine: ha potuto farlo anche investendo i soldi ricevuti dal fondo nazionale per le vittime del racket.
Ma l’elargizione, ottenuta dopo numerosi pareri favorevoli degli organi inquirenti, gli è stata revocata e ha ricevuto la cartella dell’Agenzia delle Entrate che gli ha chiesto la restituzione dell’intera cifra. Il motivo è che le inchieste nate dalle sue denunce, a Catania, sono andate avanti, ma solo per usura, mentre l’ipotesi di estorsione, inizialmente formulata, è stata archiviata dall’autorità giudiziaria catanese. E questo fa venir meno i presupposti di legge per accedere al fondo.
«Ma nel frattempo io avevo già investito tutto nella nuova attività. Cosa devo restituire? Il forno? Il frigorifero?», continua a domandare.
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