CATANIA. Prima il lavoro, volontario e non retribuito, tra i laboratori dell'università di Catania, poi la possibilità (mancata) di un concorso per un "posto sicuro" nella sua città natale e, infine la scelta di andare via per fare ciò che realmente sognava: la ricercatrice. "Fuga dei cervelli", assenza di meritocrazia, difficoltà di realizzazione professionale. Termini e concetti che ancora oggi rappresentano una triste consuetudine nel nostro Paese e, ancora di più, in Sicilia. E' così che oggi, a distanza di quasi 30 anni e grazie a quel biglietto di sola andata, Sabina Berretta, ricercatrice catanese di 56 anni, è alla guida di una delle maggiori banche dei cervelli di Harvard, negli Stati Uniti. In Italia invece non avrebbe avuto neanche un posto da bidella. "Sin dal primo anno di Medicina iniziai subito il lavoro da ricercatrice, ma non venivo neanche pagata - racconta - Feci domanda per un posto da bidella che si era liberato nell'istituto, in modo da potermi guadagnare da vivere e continuare a fare ricerca, ma nulla". Un tentativo andato male che l'ha portata a fare scelte diverse, permettendole di trovare la sua strada. "Ho vinto una borsa di studio di un anno per l’estero - spiega - E a borsa conclusa decisi di restare. Trovai un posto al Mit di Boston (Massachusetts Institute of Technology), una delle più importanti università di ricerca del mondo, con sede a Cambridge. Dopo qualche anno ebbi la possibilità di tornare in Italia. Sarei stata al settimo cielo se non fossi mai partita, ma le possibilità di ricerca che avevo al quel punto negli Stati Uniti erano infinitamente migliori di quelle che avrei avuto tornando". Così oggi Sabina, non solo è professore associato ad Harvard Medical School dove dirige il Translational Neuroscience Laboratory - laboratorio di neurologia che si trova in uno dei più antichi ospedali psichiatrici di Harvard, ma è anche direttore scientifico della Harvard Brain Tissue Resource Center. Qui la dottoressa si occupa di ricerca sulla schizofrenia e sul disordine bipolare. "Usiamo campioni di cervelli umani, donati dopo la morte da persone affette da queste malattie, e da donatori non affetti - spiega - e li ridistribuiamo ai ricercatori in tutto il mondo. Il nostro obiettivo è quello di studiarli in maniera approfondita per sapere di più su malattie ancora incurabili o sconosciute". Zero prospettive e zero speranze professionali, ma Catania resta pur sempre nel cuore della ricercatrice. "Mi manca la mia famiglia e i miei amici , ma credo che la mia decisione di partire e non tornare fosse l’unica possibile per il tipo di lavoro che mi appassiona", aggiunge la dottoressa che consiglia ai ragazzi siciliani di continuare a lottare e di non scoraggiarsi. "Mi piacerebbe tanto dire che troveranno non solo lavoro in Italia, ma anche supporto e infrastrutture e possibilità di muoversi liberamente tra diversi gruppi di ricerca per acquisire l’esperienza necessaria- dice Berretta - Purtroppo, dalle tante risposte che mi sono già arrivate da studenti e giovani ricercatori italiani, mi rendo conto che la realtà di oggi non e’ diversa da quella che ho lasciato 26 anni fa. "Allora il mio consiglio è di non scoraggiarsi, di essere testardi come me e tanti altri, e se non è possibile riuscire in Italia, andate a lavorare all’estero. So che anche quello non e’ facile. Non e’ facile fare ricerca neanche fuori dall’Italia, ma è possibile".