Catania

Venerdì 17 Maggio 2024

La crepa nel mantello sotto la Sicilia all'origine dei terremoti

Osservando i dati provenienti dai terremoti lontani (ovvero quelli verificatisi a distanza di oltre 1000 km dal luogo di osservazione), un team di sismologi dell’Osservatorio etneo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv - Oe), ha ottenuto nuove informazioni sull’architettura del mantello superiore dell’Italia meridionale e, soprattutto, sulle possibili correlazioni tra faglie già note al livello della crosta terrestre e strutture profonde che interessano il mantello superiore. Nello studio «Seismic anisotropy to investigate lithospheric-scale tectonic structures and mantle dynamics in southern Italy» appena pubblicato sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, i ricercatori hanno individuato l’esistenza di una discontinuità del mantello terrestre profonda fino a circa 150-200 km, che sembrerebbe essere all’origine di un importante sistema di faglie che si propaga attraverso l’intera Sicilia, dalla zona a sud dell’Etna, in direzione ovest-nord-ovest, fino alla costa settentrionale. «Le onde sismiche, attraversando tutto il pianeta, sono degli ottimi strumenti di indagine dell’interno della Terra», afferma Luciano Scarfì, ricercatore dell’Ingv e coautore dello studio. «In particolare, la direzione lungo la quale oscillano le particelle interessate dal passaggio delle onde sismiche (cosiddetta polarizzazione), è indicativa della struttura del mantello superiore. In questo modo abbiamo ottenuto informazioni interessanti e dettagliate sull’assetto tettonico dell’Italia meridionale, collegando le strutture geologiche superficiali a quelle più profonde», prosegue. «Lo studio è stato reso possibile grazie alla densità delle stazioni sismiche distribuite nel territorio e all’applicazione di metodologie che hanno permesso di analizzare un grande quantitativo di dati», aggiunge Carla Musumeci, ricercatrice dell’Ingv e coautrice della pubblicazione. «I prossimi passi prevedono l’utilizzo di tecniche avanzate per migliorare ulteriormente la conoscenza del quadro geodinamico del Mediterraneo centrale e delle relazioni che intercorrono tra tettonica e vulcanismo», conclude Marco Firetto Carlino, ricercatore dell’Ingv e coautore dello studio.

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