Il siciliano che studia i segreti e le meraviglie dell’ecosistema del Mar Mediterraneo. È lo scienziato Francesco Tiralongo, siracusano di Avola, docente del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell'Università degli Studi di Catania, ricercatore, ittiologo e studioso di ecosistemi marini. Indaga su molteplici aspetti: la fauna, la biodiversità, gli effetti dei mutamenti climatici e l’arrivo di nuove specie termofile. I suoi studi sulle specie aliene, dagli invertebrati ai pesci, hanno attirato l'attenzione della comunità scientifica e dell’opinione pubblica a livello nazionale e internazionale.
Qual è la genesi della sua passione per la scienza ed in particolar modo per l'ecosistema marino?
«Sin da bambino ho sentito un legame profondo con il mare, sicuramente scaturito dal fatto che accompagnavo mio nonno durante le sue battute di pesca tra gli scogli, osservando con meraviglia e curiosità ogni creatura marina nell’ambiente o che veniva catturata. Sono quindi cresciuto in Sicilia, circondato da coste straordinarie e un mare che era molto ricco di vita. Tutto questo ha enormemente stimolato la mia curiosità. Ogni immersione, ogni osservazione di una creatura marina, accendeva in me il desiderio di comprendere di più. Con il tempo, questa passione si è trasformata in una missione: studiare, proteggere e valorizzare il mare e i suoi ecosistemi, condividendo le conoscenze con la società».
È di grande attualità la tematica delle specie aliene. Lei ha affermato che nel Mar Mediterraneo ve ne sono oltre mille. Perché è così rilevante per il presente e per il futuro dell’ecosistema marino del «Mare Nostrum» e quanto incidono i mutamenti climatici?
«La presenza di oltre mille specie aliene nel Mediterraneo è il risultato dell’attività umana, come il traffico marittimo e l’apertura del Canale di Suez. Il riscaldamento globale, che rende anche le acque mediterranee più calde e quindi accoglienti per specie tropicali, sta favorendo appunto il processo delle invasioni biologiche, il fenomeno della cosiddetta “tropicalizzazione” del Mar Mediterraneo. Queste specie, quando diventano invasive, possono alterare profondamente gli equilibri ecologici, competendo con le specie native, modificando le catene alimentari e, in alcuni casi, causando danni economici e alla salute dell’uomo. Studiare e monitorare questi cambiamenti è fondamentale per mitigare gli impatti e garantire un futuro sostenibile al nostro mare».
Può spiegare ai lettori alcuni dei casi più eclatanti e originali di specie aliene?
«Alcuni esempi emblematici includono il pesce palla maculato - Lagocephalus sceleratus -, altamente invasivo e tossico, potenzialmente letale al consumo umano, che ha avuto un impatto significativo sull’ecosistema mediterraneo e sulla salute umana, causando alcuni decessi; e il granchio blu - Callinectes sapidus -, una specie originaria della costa atlantica americana di cui ormai tanto si sente parlare che si è adattata rapidamente ai nostri ecosistemi e sta trasformando le dinamiche ecologiche delle lagune e degli estuari, causando nelle lagune del delta del Po danni economici enormi agli allevamenti di vongole. Ultimo esempio, ma certamente non per importanza, è l’invasione da parte del Pesce Scorpione - Pterois miles -, che dopo essersi espanso lungo il settore orientale del bacino, sta adesso invadendo le acque costiere delle coste orientali e meridionali italiane».
Lei è uno dei protagonisti della collaborazione tra mondo accademico e «citizen science». Può delineare ai lettori la rilevanza del progetto AlienFish?
«AlienFish è un progetto di citizen science che coinvolge cittadini che non sono ricercatori di mestiere, come pescatori e appassionati del mare che raccolgono dati su specie rare e aliene - non indigene - nelle acque marine italiane. Questa collaborazione ci permette di ottenere informazioni preziose da un territorio vastissimo, che sarebbe impossibile monitorare solo con le risorse accademiche. Grazie al contributo della citizen science possiamo tracciare l’espansione di queste specie, studiare i loro impatti e sensibilizzare il pubblico sull’importanza della biodiversità e degli equilibri marini. Negli anni - il progetto è nato nel 2012 - abbiamo ottenuto grandi risultati di rilevanza internazionale, grazie alla sinergia che siamo riusciti a creare tra il mondo della ricerca e quello della pesca - sia professionale che ricreativa -, ma anche con altri appassionati di mare, come fotografi subacquei e semplici bagnanti».
Qual è uno dei luoghi marini più straordinari del Mediterraneo da lei studiato?
«Tra i luoghi più straordinari c’è senza dubbio la costa ionica della Sicilia e ovviamente, all’interno di questa, le acque della mia Avola, mia città natia posta sul Mar Ionio. Questo tratto di mare offre una straordinaria varietà di habitat, dalle scogliere basse e alte, alle spiagge sabbiose e ghiaiose, alle praterie di Posidonia oceanica, che ospitano una ricca biodiversità. Esplorarne le dinamiche mi ha permesso di apprezzare la complessità e la bellezza degli ecosistemi marini, oltre alla loro fragilità di fronte ai cambiamenti climatici e all’attività umana. Proteggere questi ambienti è fondamentale per preservare il patrimonio naturale e culturale della nostra regione, garantendo che possa essere apprezzato anche dalle future generazioni».
Quali sono le condizioni del Mediterraneo?
«Il Mediterraneo è un ecosistema straordinario, un vero crocevia di biodiversità, cultura e storia. Tuttavia, si trova oggi ad affrontare sfide senza precedenti, che richiedono un impegno collettivo. Come ricercatori abbiamo il dovere di comprendere i cambiamenti in atto e di fornire soluzioni basate sulla conoscenza scientifica. Collaborare con la società civile, sensibilizzare il pubblico e promuovere un uso sostenibile delle risorse sono passi essenziali per garantire un futuro in cui l’uomo e il mare possano convivere in armonia».
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