Compie 103 anni il reduce Sebastiano Barbagiovanni, per quasi tre anni prigioniero in Russia nella Seconda guerra mondiale. Classe 1922, quinto di sette figli, oggi (12 gennaio) ha festeggiato a Bronte, in provincia di Catania, con tanto di torta tricolore, insieme alla moglie Rosalia (da 72 anni al suo fianco), figli, nipoti e pronipoti e con il pensiero a Sara, l’unica sorella rimastagli, da pochi giorni centenaria anche lei. Dai più è ricordato per i suoi 20 anni da cantoniere Anas, dove a 45 anni fu assunto in quanto mutilato di guerra, i primi 4 anni impiegato a Cesarò e per 16 caposquadra nella cittadina etnea. Originario di Tortorici, orfano di padre a soli 5 anni, a Bronte compiuti vent’anni riceve la cartolina d’arruolamento. Il 15 marzo 1942 è in forza al 111° Reggimento Fanteria di Trento, poi viene trasferito a Cuneo per le grandi manovre sul monte Bianco. A ottobre del ’42, si trova in guerra al fronte russo, sul fiume Don, con l’80° Reggimento Fanteria Mobilitato - 12ª Compagnia, del Corpo di spedizione italiano in Russia. Catturato dai russi, il soldato Barbagiovanni a febbraio del 1943 finirà in Siberia, dove avrà amputato l’avampiede destro congelato e conoscerà il freddo glaciale e quello che chiama ancora «il pane del prigioniero». I ricordi dell’ultracentenario, che abbiamo incontrato ieri nel giorno del 103° compleanno (ma lui è certo di essere nato a dicembre), in casa sua a Bronte, si fanno più nitidi mentre prosegue nel racconto: «Trascorsi 10 mesi di prigionia fra la fame e il freddo, mi ridussi in pelle e ossa, poi fui trasferito in Asia minore. I prigionieri lavoravano nei campi di cotone, io in lavanderia, perché i mutilati non potevano fare lavori pesanti. Ogni giorno, mangiavamo zuppe e una pagnotta. Sempre fame era, ma almeno faceva caldo». «Rimpatriato per fine prigionia» il 16 ottobre 1945, dopo un viaggio in treno durato oltre un mese, a fine novembre arriva all’ospedale di Merano, l’ex combattente su quel triste periodo conclude: «Sentivo dire che dalla Russia i soldati tornati vivi eravamo il 10 per cento. Rientrai a Bronte a fine anno, per la vigilia di Natale». Ripresa l’attività familiare agricola e pastorizia, «al Cattajno, nelle 16 salme di masseria, che con i miei quattro fratelli più grandi avevamo in gabella dal marchese delle Favare, e che poi da lui comprammo» sottolinea nonno Sebastiano, «fra una transumanza e l’altra alla Nave, nei terreni del comune di Bronte sull’Etna, passando per Maletto conobbi mia moglie Rosalia Bertino e il 20 febbraio del 1953 ci sposammo. Io ho superato il secolo, lei è ancora giovane, ha 10 anni in meno». E a proposito di gioventù, alla domanda su cosa ne pensi dei ragazzi moderni, il signor Barbagiovanni è sintetico ma efficace: «I giovani di oggi non lo sanno da dove spunta il sole». Oggi la vita del reduce si svolge soprattutto in famiglia, con la sua «giovane» moglie, i 5 figli, gli 8 nipoti e i 6 pronipoti. Dalla primogenita Rosaria due nipoti (Antonio e Rosalia Portaro), tre da Vincenzo (con l’immancabile Sebastiano, Maria e a Daniela); Nunziata, la terza figlia, è nubile; da Salvatore uno (Dario) e da Giuseppe altri due (Rossella e Biagio). Pronipoti: Gioele Portaro, Gabriele Sanfilippo, Luca e Matteo Barbagiovanni, Alessandro e Francesco Grifoni.