PALERMO. È il fioretto d’oro della Sicilia, Daniele Garozzo. Non solo presente, non solo passato, ma anche, soprattutto futuro. Quale? Uno dagli occhi a mandorla, che si chiama Tokyo. Tra due anni, nel 2020, “Garozzino” tenterà qualcosa di storico, il bis olimpico. Avrà l’età giusta, l’esperienza giusta. Magari anche un bel pò di pressione. Ma essendo un "siciliano normanno", probabilmente nemmeno ci farà caso. Daniele Garozzo non è solo una speranza ma una realtà nella tradizione, in uno sport, la scherma, che ha sempre regalato gioie all’Italia. Ventisei anni da compiere ad agosto, nato ad Acireale, campione olimpico a Rio del 2016. Di lui dicono che sia un “siciliano normanno”. Appunto. Capelli e occhi chiari, preciso, implacabile. Freddo in pedana, quasi spietato. Al momento dell’esultanza, dopo la vittoria, però, si lascia andare, mettendo da parte la maschera, anche quella da “combattimento”. La storia di Daniele, uno dei protagonisti del sondaggio di Gds.it "Il campione dei siciliani", comincia, come spesso accade, quando ancora i sogni si accarezzano solamente e sono soltanto nella mente di chi ci crede, dentro un garage, nella terra di Verga e dei Malavoglia, in una città nobile ma un pò decaduta dello sport. Ma grazie ai Garozzo e ad altre due famiglie, i Fichera (con lo spadista Marco) e ai Manzoni, lentamente, Acireale torna sulla mappa della scherma italiana. Negli anni in cui Daniele diventa un promettente fiorettista, il fratello maggiore Enrico diventa uno spadista di valore. “Garozzino” per due volte a settimana va a Modica, dove c’è uno storico circolo e altri fiorettisti in grado di farlo crescere. Il padre, il dottor Garozzo (anche Daniele studia medicina) salta in macchina e guida nella notte siciliana, 130 chilometri andata e ritorno. A poco a poco il piccolo Garozzo entra nell’orbita della nazionale e si trasferisce a Frascati, dove crescerà fino a diventare uno dei migliori fiorettisti al mondo. Se non il migliore. Un predestinato, si dice. E a ragione. Di sicuro per una notte lo è stato, il migliore: quella a Rio, nell’olimpiade brasiliana, quando in un giorno d’agosto battè in finale l’americano Massialas, per 15-11, sempre abbastanza in controllo. Un oro che Daniele aveva perso. Letteralmente. Se il titolo olimpico nessuno glielo poteva portare via, la medaglia sì. E qualcuno lo fece. In treno, mentre stava andando allo Juventus Stadium, ospite della società bianconera. Rubata, sparita. Qualche settimana più tardi, una signora, dalle parti di Torino, stava buttando la spazzatura in un cassonetto, quando vide un luccichio strano. Non credeva ai suoi occhi. Era una medaglia. Olimpica, d’oro. Quella di Daniele.