CATANIA. L'ordine di uccidere Antonino Giamblanco, sfuggito all'agguato del 30 luglio del 2014, sarebbe stato dato dal carcere da Salvatore Rapisarda durante un colloquio con il figlio Vincenzo intercettato dai carabinieri e confluito nell'inchiesta 'En plein' coordinata dalla Dda della Procura di Catania. "L'importante è che si fa..." dice Rapisarda. "Quando vuoi ora... quando vuoi?", afferma il figlio. "Quannu egghié (in qualunque momento, ndr)" sottolinea Rapisarda. Il figlio aggiunge: "perché è ca, ca (qui, ndr)... con la mitraglietta", e a questo punto, secondo i carabinieri, il giovane fa il gesto come di volere imbracciare un'arma a canna lunga. Militari sequestreranno poi in un ovile la mitraglietta M12 con silenziatore utilizzata nell'agguato. Il colloquio in carcere continua e il figlio spiega al padre che Giamblanco "mette mano alle sei, povuru carusu, e leva manu alle 10 (inizia a lavorare alle sei, povero ragazzo, e smette alle 10, ndr)". Rapisarda lapidario ribadisce: "quannu egghié". Secondo quanto emerso dalle indagini, alcuni degli ordini sarebbero stati dati dal carcere con i boss che urlavano dalle celle e affiliati fuori dalla struttura penitenziaria ad ascoltare. Il meccanismo, scoperto subito dai carabinieri, non è stato interrotto subito perché c'erano in atto apposite intercettazioni audio e video. La frattura consumata all'interno di Cosa nostra a Paternò emerge anche da un'intercettazione acquisita nel fascicolo. E' Scalisi che parla e spiega ad altri: "una volta eravamo tutti una cosa, Alleruzzo... poi è successo quello che è successo, ognuno ha preso la sua strada". Tra le 'colpe' imputate a Leanza quella che "per dire, è rimasto 'nittiano' (con riferimento allo storico capomafia Nitto Santapaola) e noialtri no...".