CATANIA. «Nessuna novità, nessun indagato. Domani (oggi, ndr) sarà effettuata l’autopsia, speriamo che emergano elementi utili». Il capo della Squadra mobile, Antonio Salvago, non si rifugia dietro frasi di circostanza per nascondere che resta un mistero l’omicidio di Giuseppe D’Arrigo, il novantunenne accoltellato giovedì nella sua abitazione, un «basso» di via Principe Nicola a Picanello.
Nessun segno di effrazione sulla porta di casa dell’anziano: «Questo, però, non significa necessariamente — afferma Salvago — che la vittima abbia aperto all’assassino. Possibile, invece, che questi avesse le chiavi o abbia usato un mazzo adulterino. Non si tratta, d’altronde, di un ingresso blindato». Per adesso, quindi, l’unica certezza è rappresentata dall’arma del delitto, una lama conficcata nella gola del pensionato. Stando a una prima ricostruzione, peraltro, l’uomo sarebbe stato colpito a morte già a pochi passi dalla prima stanza del suo appartamento, ma si sarebbe trascinato sino alla stanza da letto dove il cadavere è stato scoperto da una nipote.
Vedovo da alcuni anni, morto anche il figlio, Giuseppe D’Arrigo abitava da solo e conduceva un’esistenza anonima. Qualche puntata al bar per fare quattro chiacchiere con gli amici, una passeggiata nelle strade del quartiere, le sempre più rare uscite alla guida della sua «Panda» o di una vecchia «Y 10». I residenti della zona, interrogati dagli agenti, descrivono il pensionato come un tipo normale, perbene. Indagini non facili, insomma, per il sostituto procuratore Tiziana Laudani e per la Squadra mobile che non hanno confermato la pista del delitto a scopo di rapina. A volte, d’altronde, un movente «vero» in questi fatti di sangue non c’è, come nel caso dell’omicidio della settantunenne Maria La Spina che nell’aprile di quattro anni fa venne ammazzata sempre a Picanello sul pianerottolo del suo appartamento in condominio.
La donna era stata colpita ripetutamente alla testa con un ferro da stiro, meno di ventiquattr’ore dopo era stato arrestato dalla polizia un vicino di casa della vittima: il diciannovenne Carlo Pappalardo, reo confesso di quell’omicidio commesso senza una ragione precisa. «Un raptus», si dice sbrigativamente in questi casi. Ge. M.
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