CATANIA. La Corte d'appello di Catania ha rigettato la richiesta di dissequestro di parte dei beni dell'imprenditore Sebastiano Scuto. Il patrimonio riguarda quello al centro della decisione, del 4 giugno scorso, della Cassazione che ha annullato, in parte in maniera definitiva e in parte con rinvio a un altra corte, la confisca di beni dell'imprenditore.
La Procura generale si era opposta, in aula, alla richiesta dei legali del «re dei supermercati». Il collegio di difesa ha annunciato ricorso al Tribunale del riesame. La Corte d'appello di Catania, il 18 aprile del 2013, ha condannato Scuto a 12 anni di reclusione dalla Corte d'appello per associazione mafiosa. Una decisione che ha ribaltato, in parte, la sentenza di primo grado, emessa il 16 aprile del 2010 dalla seconda sezione penale del Tribunale di Catania, che aveva condannato l'imprenditore a 4 anni e 8 mesi di reclusione, ma assolvendolo dall'accusa di avere gestito a Palermo centri commerciali in comune con i boss Bernardo Provenzano e i fratelli Lo Piccolo, e dissequestrato tutti i beni dell'imprenditore, confiscandone «una quota ideale del 15%».
I giudici di secondo grado lo avevano poi invece riconosciuto colpevole di collegamenti con la mafia palermitana e disposto la confisca di tutti beni. La difesa di Scuto, rappresentata dagli avvocati Guido Ziccone e Giovanni Grasso, ha sempre sostenuto che Scuto avrebbe agito da «vittima di estorsioni da parte delle mafia» e che «pagava il clan per evitare ritorsioni personali».
Caricamento commenti
Commenta la notizia