CATANIA. Nuvoloni neri si addensano sul futuro dello stabilimento Acciaierie di Sicilia, l’azienda siderurgica catanese ad oggi l'unica industria dell'isola attiva nella produzione della preziosa lega tra ferro e carbonio. La fabbrica di proprietà del gruppo Alfa Acciai di Brescia - specializzata nella realizzazione di tondini in acciaio per costruzioni edili, strade e autostrade - potrebbe presto chiudere, provocando ricadute enormi in termini di produttività e occupazione in città e nell'hinterland.Sono duecentodieci i dipendenti che rischiano il posto a causa della crisi dello stabilimento. Molti di loro hanno subito una riduzione di circa il 40 percento delle ore di lavoro, che ha dato luogo ad una drastica diminuzione del salario mentre altri sono già stati spediti in cassa integrazione a zero ore, percependo - senza avere la possibilità di lavorare - circa novecento euro al mese. Secondo Fim, Fiom e Uilm - che oltre a chiedere un incontro col sindaco Enzo Bianco hanno anche organizzato per lunedì prossimo un corteo di protesta che si snoderà lungo via Etnea da piazza Università fino in Prefettura - sono principalmente due le problematiche che affliggono la produttività dello stabilimento dell'azienda lombarda presente nel Catanese. La prima ha a che vedere con l'approvvigionamento di energia elettrica, i cui costi hanno da tempo raggiunto livelli proibitivi. «L'anno scorso la differenza nel costo dell'energia tra le due aziende del gruppo, una a Brescia e l'altra a Catania, è stata di circaventinove euro al megavattore - racconta l'ingegner Vincenzo Guadagnuolo, direttore generale tecnico di Acciaierie Siciliane - ciò significa che quello che in Lombardia costa poco meno di 30 euro in Sicilia si paga 58». Una differenza di prezzo certo non da poco, che secondo il manager si deve al più alto tasso di sconto sui costi di distribuzione dell'energia di cui beneficiano le industrie del nord. «Da una parte, essendo più grandi, le nostre acciaierie di Brescia acquistano quantitativi maggiori di energia eapprofittano di alcuni sconti sui volumi. Dal lato della distribuzione però le aziende del nord beneficiano di ulteriori riduzioni sul totale da pagare», aggiunge Vincenzo Guadagnuolo. Un problema politico, dunque, che come denunciano i sindacati rende la siderurgia siciliana meno competitiva rispetto a quella delle regioni settentrionali. Il secondo ostacolo alla sopravvivenza dell'acciaieria è rappresentato dalle difficoltà incontrate dall'azienda nell'acquisire rottami da riconvertire in prodotti finiti. Se fino a qualche mese fa l'acciaieria riceveva circa 1.800 tonnellate di rottami al giorno, oggi la fornitura quotidiana è stata più che dimezzata, scendendo a sole 700 tonnellate. A tal proposito, la confederazione sindacale parla di manovre volte a distorcere il mercato favorendo la concorrenza sleale, un'opinione condivisa dal management dell'azienda. «Già da tempo - dice ancora il direttore generale tecnico di Acciaierie Siciliane - abbiamo manifestato i nostri dubbi sul modo in cui vengono gestiti i rottami che arrivano al porto di Augusta. È nostra convinzione che si stia facendo in modo di fornire dei vantaggi competitivi a qualcuno». In occasione del corteo di lunedì prossimo, gli operai dell'acciaieria chiederanno l'anticipazione della già previstariunione con gli assessori regionali alle Attività produttive e all'Energia, dalla quale ci si aspettano manovre risolutive capaci di ridare stabilità economica ad oltre duecento famiglie.
«Confindustria sarà al fianco delle Acciaierie di Sicilia per trovare ogni soluzione possibile al rilancio della competitività aziendale, a difesa della produzione e dell’occupazione», incalza il presidente della sezione Metalmeccanici dell’associazione industriali etnea , Antonello Biriaco. In un incontro fissato nei prossimi giorni tra i vertici di Confindustria e il management aziendale, saranno discusse le possibili azioni da mettere in campo per superare le difficoltà che ostacolano la produzione industriale mettendo a rischio azienda e lavoratori.
Metalmeccanici a Catania, a rischio 210 posti
Molti operai hanno subito una riduzione di circa il 40% del salario; mentre altri sono già stati spediti in cassa integrazione a zero ore, percependo circa novecento euro al mese
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