ROMA. Un appassionato del suo lavoro di chirurgo ortopedico specializzato in interventi sulla mano e riabilitazione e con la voglia di essere utile al mondo. Così a Catania è descritto Ignazio Scaravilli, il medico 70enne scomparso dal 6 gennaio scorso in Libia. Era partito, assieme ad altri tre colleghi siciliani, prima di Natale per dare il proprio contributo all'ospedale di Dar Al Wafa, nella zona di Suq Talat. Sono stati gli altri medici a segnalare la sua scomparsa, e anche i familiari a Catania non hanno da tempo sue notizie. La Procura di Roma ha aperto un'inchiesta per sequestro di persona.
Ad informare il figlio e la moglie che abitano nel capoluogo etneo è stata la Farnesina, che ha attivato l'unità di crisi, ma la famiglia sulla vicenda chiede "il silenzio stampa". Al citofono un parente respinge in maniera cortese, ma ferma, i cronisti: "La Farnesina ci ha invitati a mantenere il massimo riserbo e per questo vi chiediamo il silenzio stampa, tanto tutto quello che si può sapere è già di dominio pubblico". Alcuni vicini di casa confermano di "averlo visto prima di Natale". Lo descrivono come "una persona tranquilla e molto cortese". Un negoziante della centrale via Umberto ricorda che stava per partire per la Libia: "mi aveva promesso un regalo al suo ritorno, speriamo che torni il più presto possibile, anche senza regalo...".
Scaravilli ha lavorato a lungo a Padova, dove ha ancora casa in cui risiedeva con la moglie fin quando viveva nella città veneta. Ma da un anno era rientrato in Sicilia dopo avere prestato servizio per 35 anni al 'Cto', oggi noto come ospedale Sant'Antonio. Da quando era andato in pensione aveva mantenuto solo qualche contatto con i colleghi. Alcuni li aveva salutati al telefono prima di Natale, per gli auguri. Ad uno di loro, un anestesista, aveva confidato anche l'intenzione di partire per la Libia, chiedendogli se avesse voluto fare la stessa scelta. "Non riusciva a stare fermo neppure da pensionato", commentano i vicini di casa di Catania. E la conferma arriva dal una sua dichiarazione on line che era il suo motto: "Fare movimento, movimento e ancora movimento!!!". L'interesse per il lavoro e la curiosità lo avevano spinto "a collaborare con colleghi di Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Malta e Libia" e ad operare "mediamente 200 pazienti l'anno di varie patologie al piede e alla mano". "Svolgo la mia attività - sottolineava sul web - per passione e testarda voglia di aiutare il paziente a superare le proprie sofferenze e a recuperare il più possibile la propria libertà di movimento". Quella passione testarda che lo ha portato in Libia, e che, i familiari adesso sperino serva a farlo tornare sano e salvo a casa.
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