CATANIA. Venticinque anni di reclusione per omicidio e occultamento di cadavere. E’ la sentenza della Corte d’assise di Catania per Salvatore Di Grazia, 81enne, accusato di avere ucciso la moglie 72enne, Mariella Cimò, per contrasti economici e passionali, facendo poi sparire il corpo. Il Pm Angelo Busacca aveva chiesto la condanna all’ergastolo.
Mariella Cimò scomparve dall’abitazione della coppia il 25 agosto del 2011, la denuncia fu stata presentata dal marito il 5 settembre successivo. I due erano sposati da 43 anni. Negli ultimi periodi c'erano stati dei contrasti tra marito e moglie, in particolare sulla gestione di un autolavaggio self service per autovetture di Aci Sant'Antonio, di proprietà della Cimò e nel quale lavorava Di Grazia. La donna lo voleva vendere, mentre il marito era assolutamente contrario, anche perchè, sostengono gli investigatori, «utilizzava gli uffici per incontri legati a relazioni extraconiugali».
Di Grazia, che si continua a proclamare innocente, era in aula ed è rimasto impassibile durante la lettura della sentenza. La Corte d’assise di Catania ha riconosciuto il risarcimento danni alle parti civili, condannato l’imputato all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e al pagamento delle spese processuali e della custodia cautelare in carcere. Lui resta in stato di libertà, con l'obbligo di soggiorno, dalle 21 alle 7 del mattino, nel comune di residenza, Acireale.
Con i cronisti ha commentato la sentenza con una battuta: «la piglio come un auspicio di lunga vita...», ha detto sorridendo. Per l’accusa non ci sono dubbi: è stato lui. Ha ucciso la moglie, ne ha occultato e poi soppresso il cadavere. E per il Pm durante le indagini della squadra mobile della Questura «non soltanto ha mentito, ma anche depistato». L’imputato nelle scorse udienze aveva reso spontanee dichiarazioni in aula ribadendo la sua estraneità, «la sincerità viene punita» e "molti fatti confluenti" su di essa «o sono sottaciuti o non considerati».
Un processo senza 'corpo del reato', ma che per la Procura si basa su «45 gravi e univoci indizi di colpevolezza». L’ultimo riassume il movente: «Di Grazia in definitiva si è liberato della moglie (probabilmente in esito ad un fatale ultimo litigio) per continuare liberamente (se non per incrementare) la già disinvolta e talora frenetica frequentazione di donne ad esclusivi scopi sessuali per lo più verso pagamento di somme di denaro».
Punti che il presunto uxoricida ha più volte contestato, definendole «45 barzellette». Di Grazia, che ha l’obbligo della dimora nel comune di residenza, dalle 21 all1 7 del mattino, ha sostenuto che la moglie sia allontanata volontariamente da casa. "Era troppo riservata - ha sempre detto - magari essersi vista sulle televisioni nazionali le impedisce di tornare a casa». Ma lui, non ha perso la speranza: «Perchè non si può parlare di scomparsa autonoma? E’ stata uccisa? E da chi? Io - è stata la sua tesi difensiva - so che non sono stato io, perchè siamo esseri umani e non animali, ma chè scherziamo... Spero torni domani e io possa morire dopodomani». Intanto la condanna a 25 anni la valuta «come un’auspicio di vita prolungata...».
C'è un precedente a Catania di un’inchiesta per omicidio senza il cadavere, che ricorda, in questo aspetto, il processo per omicidio e occultamento di cadavere del 81enne Salvatore Di Grazia. E’ il caso di Rita Cigna, una sarta di 45 anni, scomparsa il 15 luglio del 1995, il giorno prima del fidanzamento ufficiale con Francesco Le Pira, più grande della donna di tre anni, che era sposato. L’uomo fu accusato del delitto e condannato in primo e secondo grado a 23 anni di reclusione, ma la Cassazione, il 26 aprile del 2007, annullò senza rinvio la sentenza, assolvendolo.
Al centro del processo la scomparsa della donna, che da tempo aveva una relazione con Le Pira. Il rapporto era noto a amici e parenti della presunta vittima, ma non alla famiglia dell’uomo. Il 15 luglio del 1995, giorno della 'presentazione in casa', la coppia uscì per comprare dei fiori da regalare ai genitori della donna. Da allora di Rita Cigna non si sono avute più notizie. Le Pira, che si è sempre proclamato innocente, ha sostenuto di averla lasciata vicino alla sua abitazione e di non averla più rivista, ma la Procura di Catania, invece, ipotizzò che l'uomo avrebbe deciso all’ultimo momento di salvare il proprio matrimonio sopprimendo l’amante e nascondendo poi il cadavere. Accuse dalle quali, condannato in primo e secondo grado, è stato prosciolto in maniere definitiva dalla Cassazione.
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