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Inchiesta Lidl, primi interrogatori a Milano: in 5 non rispondono ai giudici

MILANO. Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere negli interrogatori di garanzia i presunti capi dell’associazione per delinquere, che avrebbe avuto legami con la cosca mafiosa catanese dei Laudani, arrestati quattro giorni fa nell’ambito dell’inchiesta milanese su presunte infiltrazioni negli appalti Lidl e in una società di sicurezza che si occupa di vigilanza anche per il Tribunale di Milano.

Ieri, in particolare, davanti al gip Giulio Fanales e nel carcere milanese di Opera, hanno deciso di non rispondere Luigi Alecci, Emanuele Micelotta e Giacomo Politi, ritenuti al vertice della presunta associazione smantellata con 14 arresti dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal pm Paolo Storari. E hanno scelto di avvalersi anche i due fratelli Alessandro e Nicola Fazio titolari di un consorzio di società, tra cui la Securpolice che si occupa di security anche al Palagiustizia. L'unico che ha deciso di parlare davanti al giudice è stato Alfonso Parlagreco, anche lui finito in carcere a Opera.

L'altro ieri, invece, tutti e quattro i detenuti a San Vittore, tra cui il presunto mediatore Domenico Palmieri, hanno risposto alle domande. Palmieri ha ammesso di aver sfruttato le proprie conoscenze nella pubblica amministrazione milanese per aiutare Micelotta, conosciuto come imprenditore, a trovare opportunità di lavoro, l’aggiudicazione di gare, in cambio di mille euro al mese. Sempre ieri si è difesa davanti al gip una delle due persone finite ai domiciliari, l’ex dipendente del Comune di Milano Giovanna Afrone, che ha negato di aver affidato un appalto per la pulizia nelle scuole in cambio di vantaggi.

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