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L'ex Provincia di Catania condannata a pagare 7 milioni all'Ato rifiuti di Giarre

L’ex Provincia regionale di Catania è stata condannata dalla Corte d’Appello del capoluogo etneo, che ha ribaltato i giudizi di primo grado, a pagare oltre 7 milioni di euro di debiti, più interessi e spese legali, all’Ato rifiuti Joniambiente spa in liquidazione di Giarre. I costi sostenuti dall’Ato, per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti in favore dell’ente locale, secondo i giudici vanno rimborsati, perché lo specifico servizio «è affidato in via esclusiva alla società d’ambito» dalla legge, senza esserne vincolato l’avvio a richieste preventive dell’ex Provincia.

Quella resa alcuni giorni fa è la quarta sentenza del 2021 favorevole all’Ato ionico-etneo, con quest’ultima la Corte d’Appello – Sezione Prima Civile di Catania gli ha riconosciuto un credito di 4 milioni di euro e con le altre tre pronunce più di 3 milioni. Ecco, dunque, superata la somma di 7 milioni di euro che la Città metropolitana di Catania (allora Provincia) è stata condannata a pagare all’Ato Joniambiente, per l’espletamento dei servizi di pulizia strade provinciali e spiagge, rimozione micro discariche abusive, trasporto e conferimento dei rifiuti solidi urbani in discarica per lo smaltimento.

In aggiunta agli oltre 7 milioni di euro, appostati nei vari bilanci dell’Ato dal 2007 al 2012 finiti in tribunale (quello del 2011 non rientra in queste 4 sentenze), l’ex Provincia è stata condannata a pagare circa mezzo milione di euro, per interessi e spese legali, che portano la spesa fra i 7,5 e gli 8 milioni. Sul contenzioso originario di circa 9 milioni di euro, per concludere con le cifre, per i restanti 2 milioni sono attese ulteriori sentenze dalla stessa Corte d’Appello, chiamata a pronunciarsi sempre dall’Ato, a quanto pare su motivi di ricorso simili ai quattro definiti quest’anno. Secondo le amministrazioni provinciali e metropolitane di Catania, susseguitesi dal 2008 a oggi, l’Ato non poteva erogare quei servizi di raccolta rifiuti (riguardo le spiagge in particolare), senza una preventiva richiesta dell’ex Provincia e sottoscrizione di apposita convenzione.

Questa interpretazione veniva condivisa in primo grado dal Tribunale civile di Catania, a cui si rivolgeva la Città Metropolitana, che annullava le delibere assembleari (soci i 14 comuni ionico-etnei, da Giarre a Bronte, e la stessa ex Provincia), di approvazione dei bilanci societari. Ma dinnanzi alla Corte d’Appello, per la quarta volta, sono prevalse le tesi del collegio difensivo della Joniambiente, formato dagli avvocati Agatino Cariola (ordinario di diritto costituzionale) e Pietro Abbadessa (ordinario di diritto commerciale), che ne ha accolto i motivi di ricorso.

«Dal momento della costituzione della società di ambito, l’esercizio di tutte le funzioni in materia di gestione dei rifiuti dei comuni e delle province partecipanti è affidato in via esclusiva alla società d’ambito medesima - hanno confermato i giudici nell’ultima sentenza -, restando sottratta agli enti territoriali la possibilità di incidere, con propria autonoma delibera, sulla gestione del servizio, ovvero di svincolarsi, per la gestione del servizio, dalla società d’ambito e provvedervi autonomamente».

Sull’utilizzo delle somme dovute all’Ato dalla Città metropolitana di Catania, i componenti del collegio liquidatore della società d’ambito, Francesco Rubbino e Antonello Caruso, hanno chiarito: «Serviranno a pagare debiti dell’Ato, poiché rappresentano parte dei 16 milioni di euro di esposizione della Joniambiente verso banche e finanziarie, a cui la società Aimeri ambiente (allora appaltatrice del servizio) ha ceduto i vari crediti, vantati tramite l’Ato dagli enti soci, ossia comuni e provincia, al fine di continuare a garantire ad essi l’essenziale servizio pubblico di raccolta rifiuti, senza disagi e interruzioni».

«Una soccombenza in giudizio avrebbe significato che quel servizio, reso dall’Ato Joniambiente per conto e in favore dell’ex Provincia regionale di Catania, in ossequio ad un preciso obbligo di legge - hanno precisato Rubbino e Caruso nel concludere -, dovevano ingiustamente pagarlo i 14 comuni soci, in proporzione alle rispettive percentuali di azioni. Siamo grati ai professori Agatino Cariola e Pietro Abbadessa per il risultato conseguito».

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