L’ha potuta vedere soltanto in foto, perché è ancora ricoverata nel reparto di Terapia intensiva dell’ospedale Cannizzaro di Catania, ma quando le è stato mostrato lo scatto della piccolissima bambina si è commossa per la felicità. È stata una gioia immensa quella della mamma di Alessandra, la piccola nata dalla donna che ha avuto il primo trapianto di utero in Italia da una paziente deceduta.
La paziente sta bene, riferiscono fonti mediche, e probabilmente domani (3 settembre) potrebbe essere trasferita in un altro reparto Covid, perché ancora positiva anche perché sottoposta a terapia immunodepressiva per evitare il rigetto dell’organo ricevuto. La bambina è nella Neonatologia dell’ospedale Cannizzaro di Catania, non è intubata, ma respira in maniera assistita e non ha problemi con la coagulazione del sangue né al fegato. Al tampone Covid, alla nascita, è risultata negativa.
«È un miracolo - dice Giovanni, il padre di Alessandra - che si è avverato, non ho parole, non riesco ad esprimere la felicità che provo. Non dormo da due giorni e non vedo l’ora che tornino a casa. Io la sera rientro a Gela, ma ho la testa sempre all’ospedale Cannizzaro».
«Mia moglie non l’ho ancora vista - aggiunge - ci siamo parlati al telefono, sta bene e non vedo l’ora di abbracciarla. La piccola è in incubatrice, ma procede bene, sono senza parole, non ci credo». Le parole le trova per «ringraziare la famiglia della donatrice» e la scelta del nome della figlia, Alessandra, come la donna deceduta, «è stata naturale, il minimo che potessimo fare», e «le équipe mediche dei professori Scollo e Veroux, del Policlinico e del Cannizzaro di Catania, dei grandi professionisti che ci sono stati vicini in maniera impressionante, non ce l’avremmo fatta senza di loro». E auspica che il loro esempio, la loro felicità, «possa essere contagiosa e spingere alla donazione» e dare continuità a «quel miracolo che è la vita».
La moglie era stata sottoposta isterectomia a causa di una rara patologia congenita, la sindrome di Rokitansky, quando aveva 17 anni. «Quando ci siamo sposati - aggiunge - sapevo che non potevamo avere figli, ma io l’amavo e l’amo tantissimo. Oggi penso che abbiamo assistito e beneficiato di un miracolo».
«Il tentativo di fecondazione - dice Paolo Scollo, direttore del reparto di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale Cannizzaro di Catania, Unità operativa complessa clinicizzata dell’università Kore di Enna - è andato a buon fine e la signora ha condotto una gravidanza regolare fino alla 30esima settimana quando ha contratto il Covid ed è stata pertanto ricoverata nella sezione della Ginecologia del Cannizzaro dedicata alle pazienti positive».
«L'infezione - spiega Scollo - è stata per un certo tempo asintomatica ma, qualche giorno fa, un episodio di febbre alta e conseguenti contrazioni ci ha indotto a procedere con un taglio cesareo». Il parto è così avvenuto alla 34esima settimana. «Madre e figlia - aggiunge Scollo - sono state quindi trasferite in terapia intensiva: la donna nel reparto adulti, la bambina nell’unità di Terapia intensiva neonatale, dove è sottoposta a terapia antibiotica, di prassi per i prematuri, e ad assistenza respiratoria non invasiva. Entrambe si trovano in condizioni stabili».
«È stato un trapianto estremamente complesso - ricostruisce Pierfrancesco Veroux, professore ordinario di Chirurgia vascolare e trapianti dell’Università di Catania che ha eseguito l'intervento - che ha presentato sin dall’inizio le difficoltà tecniche che ne limitano l’uso estensivo nel mondo. In questo caso l’utero, sin dal “declampaggio” dei vasi, ha mostrato una grande vitalità che ha poi permesso grazie a una perfusione ottimale di 'viverè nella paziente e di portare a termine una gravidanza quanto mai attesa».
«Il Centro trapianti da me diretto - sottolinea Veroux - ha seguito in questi due anni con cadenza settimanale la futura mamma per monitorare le condizioni cliniche. L’utero trapiantato, al momento della nascita della “nostra” piccola Alessandra, ha confermato la piena funzionalità, facendo ben sperare per il futuro».
«Ero presente al momento della nascita - racconta Veroux - e il primo vagito di Alessandra è stata un’emozione infinita perché portiamo avanti questo programma da quasi sette anni e sentire quel pianto è stata un’emozione che va oltre qualunque aspetto scientifico e tecnico. Perché sapere che l'utero di una donna, ormai purtroppo deceduta da due anni, sia in grado di dare ancora la vita è una cosa che va oltre il possibile e l’inimmaginabile».
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