«Assolto perchè il fatto non sussiste». É la sentenza pronunciata dalla prima sezione penale del Tribunale di Catania nel processo per concorso esterno celebrato nei confronti dell’imprenditore ed editore Mario Ciancio Sanfilippo. La Procura aveva chiesto la condanna a 12 anni e la confisca dei beni che gli erano stati dissequestrati. Il processo, iniziato nel 2017, verteva su presunti rapporti con esponenti di spicco di Cosa nostra etnea. Ipotesi sempre contestata dall’imprenditore e dai suoi legali.
I legali: «La verità ha trionfato»
«Dopo tanti anni di processo possiamo dire che la verità ha trionfato. Il tribunale ha messo la parola fine a una brutta vicenda nella quale, certamente, una persona di grande spicco e di grande rilevanza a Catania è stata coinvolta». Lo ha affermato l’avvocato Carmelo Peluso, del collegio di difesa di Mario Ciancio Sanfilippo, dopo la sentenza. «Posso dire soltanto - ha aggiunto il penalista - che il processo è stato il frutto di un percorso particolare, attento, e di un contraddittorio sempre leale e corretto con i rappresentanti della Procura di Catania».
«È una delle sentenze più belle dal punto di vista professionale e mi sono commosso per il risultato, ma anche al pensiero che con questo dispositivo viene restituita la dignità a Mario Ciancio Sanfilippo e questo è l’obiettivo più importante», ha commentato l’avvocato Francesco Colotti, dello studio di Giulia Bongiorno, che fa parte del collegio di difesa dell’editore.
Il fratello di Beppe Montana: «Affermata una verità storica»
«Ringrazio il mio avvocato e i pubblici ministeri che hanno svolto un lavoro egregio. Per quanto ci riguarda siamo soddisfatti perché abbiamo raggiunto un risultato storico: Mario Ciancio Sanfilippo andato a giudizio, e questa città non voleva che si celebrasse il processo che non è stato seguito, e crediamo che la verità storica è stata affermata. Sul destino giudiziario di Mario Ciancio Sanfilippo siamo indifferenti»: lo ha detto Girlando Montana, fratello del commissario Beppe Montana assassinato da Cosa nostra il 28 luglio del 1985, sulla sentenza che ha assolto l’editore dall’accusa di concorso esterno all’associazione mafiosa.
La famiglia Montana, assistita dall’avvocato Goffredo D’Antona, si era costituita parte civile nel processo davanti alla prima sezione penale del Tribunale etneo per un necrologio che il quotidiano La Sicilia non pubblicò sull’uccisione da parte della mafia di Beppe Montana, capo della catturandi della squadra mobile di Palermo.
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