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Smantellata la mafia turca in Italia: diciotto arresti tra la Sicilia e la provincia di Viterbo

Nella rete Baris Boyun, tra i più grossi ricercati da Ankara. Era stato al centro di una querelle giudiziaria, il tribunale di Bologna e la Cassazione avevano negato l'estradizione. Tra le accuse anche quella di banda armata con finalità di terrorismo

Con un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 18 persone di origine turca, ma che vivono in Italia, Svizzera, Germania e Turchia, la Procura di Milano ha smantellato una rete criminale guidata da Baris Boyun, ritenuto boss della mafia turca, uno degli uomini più ricercati da Ankara. Boyun è stato preso in provincia di Viterbo. Tra le accuse anche quella di banda armata con finalità di terrorismo, attentato terroristico e omicidio. Il provvedimento del gip milanese Roberto Crepaldi è stato eseguito all’alba da centinaia di poliziotti coordinati dall’Antiterrorismo milanese, in particolare dal pm Bruna Albertini e dal procuratore Marcello Viola. Si tratta di una grossa operazione condotta questa notte dalla polizia, che ha portato all’arresto di circa 18 persone tra la Sicilia e la provincia di Viterbo.

Le accuse, a vario titolo, sono associazione per delinquere aggravata dalla transnazionalità, banda armata diretta a costituire un’associazione con finalità terroristiche e a commettere attentati terroristici, detenzione e porto illegale di armi «micidiali» e di esplosivi, traffico internazionale di stupefacenti, omicidio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’indagine è nata nell’ottobre 2023 dopo l’arresto di tre componenti dell’organizzazione che cercavano di raggiungere la Svizzera: erano in possesso di due pistole, di cui una clandestina, munizioni e materiale di propaganda. Dagli accertamenti successivi è emerso che i tre stavano facendo da scorta al loro capo, Boyun, 39 anni, ed alla compagna, i quali viaggiavano su una macchina separata. Anche la donna è destinataria del provvedimento del gip Crepaldi.

Gli investigatori della squadra mobile di Como, della sezione investigativa di Milano e dello Sco di Roma, guidati dalla Procura, hanno documentato come Boyun, da un’abitazione di Crotone, dove era ai domiciliari con braccialetto elettronico per detenzione e porto di arma comune da sparo, continuava a dirigere e coordinare dall’Italia la sua rete che agiva in Europa. Si va dall’organizzazione dell’ingresso dei migranti, dietro tariffe, attraverso la rotta balcanica, all’ordine di un omicidio di un suo concittadino avvenuto il 10 marzo scorso, fino all’obbligo per i suoi sodali di commettere reati anche terroristici in Europa, in particolare a Berlino.

In Turchia, invece, sarebbe stato la «mente» dell’attentato, poi sventato grazie allo scambio di informazioni tra le polizie italiana e turca, a una fabbrica di alluminio del 19/20 marzo scorso, così mostrando di disporre di armi con una elevata potenza di fuoco e di molto denaro proveniente per lo più dal traffico di sostanza stupefacente, ma anche dal contrabbando delle sigarette e di farmaci.

All’inchiesta, visti i consistenti flussi di soldi per le attività dell’associazione, ha collaborato anche la Sezione investigativa finanziamento terrorismo della guardia di finanza di Milano. L’operazione, tuttora in corso, sta coinvolgendo centinaia di poliziotti tra Svizzera e Italia. Impegnato personale della squadra mobile di Como, dello Sco di Roma, della sezione investigativa Sco di Milano e di Brescia, delle squadre mobili di Catania, Crotone, Verona e Viterbo.

Una task force congiunta di forze dell’ordine italiane e dell’Interpol alle 4 di questa mattina ha fatto irruzione in un appartamento in via Cardinal Giovanni Francesco Gambara, della frazione viterbese di Bagnaia, dove Baris Boyun sembra stesse da tempo agli arresti domiciliari e piantonato. Il presunto boss della mafia turca intorno alle 5.30 è stato portato via dagli agenti per essere condotto presumibilmente a Milano.

Boyun, era stato arrestato nell’agosto del 2022 a Rimini, a seguito di un mandato di cattura internazionale emesso nei suoi confronti dal governo turco per le accuse di omicidio, minacce, lesioni, associazione a delinquere e violazione sulla legge sul possesso di armi. Al momento del suo arresto, aveva fortemente rigettato le accuse, sostenendo di essere un perseguitato politico di origini curde, e di avere già chiesto la protezione internazionale all’Italia. In seguito, il presunto boss era stato al centro di una querelle tra lo Stato italiano e quello turco, che ne aveva chiesto l’estradizione. Richiesta che era stata rigettata prima, dal tribunale di Bologna e in seguito dalla Corte di Cassazione.

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