
I fermi eseguiti contro dieci esponenti del clan mafioso Scalisi di Adrano sono stati disposti dalla Procura di Catania per un omicidio che era prossimo alla realizzazione. Il reggente della cosca aveva pianificato l'eliminazione degli autori della morte del figlio di 17 anni, ucciso a coltellate la notte del 20 aprile a Francofonte (Siracusa).
Per l’agguato, che doveva essere commesso nel Siracusano, sarebbe partito un commando da Chieti utilizzando anche una falsa divisa da carabiniere e un furgone senza gps per evitare di essere tracciato.
A organizzare il piano sarebbe stato Pietro Lucifora per vendicare la morte del figlio Nicolò Alfio durante una rissa tra giovani nel Siracusano, per cui è stato arrestato un indagato. Dalle intercettazioni della Procura di Catania, eseguite dalla polizia, è emerso il progetto dell’agguato nei confronti di obiettivi, che non sono stati identificati dagli investigatori, doveva avvenire a Francofonte gli ultimi giorni di settembre.
Dalle attività tecniche è emerso che tra «i compartecipi del piano omicidiario figurassero lo zio del reggente della cosca, Pietro Schilirò, unitamente ad alcuni appartenenti al nucleo familiare di quest’ultimo, tutti residenti a Chieti». In particolare, ricostruiscono i magistrati etnei, il nucleo familiare dello Schilirò, «avvalendosi della collaborazione di un ulteriore soggetto residente a Pescara, si stava adoperando per confezionare, per conto di Pietro Lucifora, una finta divisa da carabiniere da utilizzare durante l’agguato, nonché per noleggiare un furgone non munito di localizzatore satellitare, necessario per eseguire il viaggio di andata e ritorno dall’Abruzzo alla Sicilia e per reperire armi».
Lucifora si sarebbe creato «un alibi recandosi nel capoluogo teatino in occasione delle nozze dello zio con la compagna, previste per il 20 settembre, per poi eseguire il delitto tornando in Sicilia e rientrando in Abruzzo subito dopo l’esecuzione». Il piano sarebbe dovuto essere realizzato con il supporto di Mario Lucifora, fratello del reggente del clan, il quale - secondo la Procura - «si stava
adoperando anch’egli per trovare delle armi da utilizzare nel corso dell’azione cruenta».
Nel garage di Chieti in uso a Schilirò la polizia ha sequestrato due divise simili a quelle dell’Arma dei carabinieri, che erano funzionali all’esecuzione del piano omicida.
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