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Catania, il procuratore Curcio: «I boss continuano a comandare dal carcere grazie ai cellulari»

«I criminali, anche quando sono in carcere, continuano a dirigere le attività delle organizzazioni utilizzando il cellulare. Non si limitano a mantenere rapporti con parenti o affiliati, ma ad organizzare, promuovere e determinare nuove attività criminali».

A denunciarlo è il procuratore distrettuale di Catania, Francesco Curcio, intervenuto in conferenza stampa per illustrare i dettagli dell’operazione antimafia che ha portato all’arresto di 14 esponenti del clan Scalisi di Adrano.

Secondo Curcio, «il nostro sistema carcerario è indifeso rispetto alle penetrazioni di cellulari. Probabilmente, a livello più elevato del nostro, chi ha la responsabilità amministrativa e politica della gestione delle carceri deve porsi il problema di schermare nel modo più opportuno gli ambienti penitenziari».

Il procuratore ha spiegato che i telefonini entrano dietro le sbarre con i metodi più diversi: «Arrivano con i droni, con i lanci dall’esterno o in altri modi. Ma se all’interno del carcere il telefonino non può essere usato perché l’ambiente è schermato, anche se riuscissero a entrare, il problema sarebbe risolto».

Curcio ha messo in evidenza anche le conseguenze sul principio rieducativo della pena: «Diciamo che la pena deve avere una funzione rieducativa, benissimo, ma come li rieduchiamo se continuano a delinquere nel carcere utilizzando il cellulare?».

Infine un richiamo ai costi e agli sforzi della macchina giudiziaria: «Tutto questo vanifica le indagini. Si lavora per anni, si fanno processi che costano milioni di euro, il sudore della polizia giudiziaria e dei magistrati, e poi chi viene condannato finisce per fare esattamente quello che faceva prima. Ma vi sembra possibile?».

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