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La sommossa di Bronte, Bixio svenne dopo l'esecuzione del matto ma Sciascia preferì tacerlo

L'episodio lo riferì il suo «aiutante di campo» Francesco Grandi nelle proprie Memorie di uno dei Mille

L’esecuzione del matto miracolosamente sopravvissuto alla fucilazione dei cinque brontesi, condannati per la sommossa di Bronte del 1860, turbò Nino Bixio, il quale svenne e cadde da cavallo. L’ignorato episodio lo riferì il suo «aiutante di campo» Francesco Grandi (Tempio Pausania, 1841 – Roma, 1934), nelle proprie Memorie di uno dei Mille, pubblicate postume sulla «rivista mensile di politica e letteratura» Il Ponte (luglio 1960). Leonardo Sciascia attinse anche a tale fonte, per suoi scritti su quei tumulti, però quel crollo del generale preferì tacerlo: per lui era «difficile pensare Bixio commosso».

Racconta il luogotenente Grandi: «Lungo la strada scortavo i condannati e uno di essi, che mi era vicino, mi andava sussurrando: “A Madonna mi farà la grazia”. Caso volle che questi, sotto la scarica del picchetto che eseguiva la sentenza, ricevesse soltanto un leggera scalfittura e cadesse bocconi a terra. Quando l’aiutante maggiore chiamò il medico per l’atto di morte, il caduto, puntando i pugni e rizzandosi, disse a Bixio: “La Madonna mi ha fatto la grazia. Adesso fatemela voi”. Ma Bixio, voltandosi verso il sergente Niutti, disse: “Ammazzate quella canaglia”, e questi, spianato il fucile, lo finì».

Questo toccante passaggio, vissuto e narrato dal garibaldino, è sintetizzato da Sciascia nel suo Verga e la libertà, apparso sul mensile comunista Il contemporaneo (marzo 1963, poi in La corda pazza, 1970); un testo che aveva già consegnato come introduzione alla ristampa in corso di Nino Bixio a Bronte (1963), dello storico Benedetto Radice (confluito in Memorie storiche di Bronte, 1984). Lo scrittore, però, non accenna al mancamento di Bixio e rinvia alle Memorie di uno dei Mille (con il generico: «pubblicate su Il Ponte qualche anno fa»).

L’intellettuale di Racalmuto s’era interessato già alla ribellione di Bronte, nel centenario «dell’unità d’Italia». Infatti, nel settimanale socialista-proletario Mondo Nuovo (12 giugno 1960), Sciascia aveva scritto l’articolo Sarò a Bronte per l’esecuzione (l’anno dopo in Pirandello e la Sicilia, col titolo I fatti di Bronte), in cui criticava chi «nel momento della fucilazione vide gli occhi di Bixio pieni di lacrime».

Col «terribile particolare» della straziante vicenda umana del demente Nunzio Ciraldo Frajunco (condannato a morte ingiustamente due volte, precisiamo, per gli stessi reati), Sciascia concluderà poi La rivolta di Bronte sul mensile Storia illustrata (agosto 1971), a conferma dell’attendibilità delle Memorie di uno dei Mille (citate senza riferimenti a Il Ponte).

Ignaro di questi «ricordi autobiografici», che «non furono scritti per essere divulgati», su quel Bixio «con gli occhi fissi, vitrei, a cavallo, come l’angelo della vendetta», nel suo saggio del 1910 (ristampato nel 1963) il Radice scriveva: «In quel solenne e funebre momento certo il suo cuore dovette sentire uno schianto, ché non si assiste, senza commuoversi, alla violenta subitanea scomparsa di un uomo». Sarà poi il Grandi, nel 1918, a far assurgere quell’ipotesi a cronaca scrivendo: «Bixio, impressionato di quelle uccisioni, che dovette far eseguire a sangue freddo, cadde da cavallo svenuto».

L’anziano professore dei Mille su Bixio conclude: «Riavutosi, ricompose i ranghi e partimmo, lasciando i cadaveri nella strada»; il generale «poi con un ordine del giorno, chiedeva venia ai soldati per aver loro dovuto ordinare le esecuzioni».

La tardiva compassione non toglie a Bixio la macchia di quelle ingiuste fucilazioni, poi sentite come un «incubo sull’animo», ma la sua reazione emotiva non va trascurata; come dev’essere ricordata la fondamentale importanza degli scritti di Leonardo Sciascia, per il dibattito su I fatti di Bronte dal 1960 ad oggi.

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